Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

giovedì 25 settembre 2014

La Santità il dolore e la morte di San Giuseppe


Giuseppe conosceva perfettamente la santità di Maria e il proposito di verginità perpetua.

Perciò, quando si avvide della gravidanza di Lei, non la ritenne peccatrice-adultera, né la espose alla lapidazione prescritta (Levitico 20, lO; Deuteronomio 22, 22-24). Lui che credeva alla virtù di Maria, avrebbe cessato di essere giusto (Matteo 1, 19) se l'avesse fatta lapidare.
Ma Giuseppe, prima dell'apparizione angelica (Matteo 1, 20-23) non conosce la causa per la quale la sua sposa è incinta e non ne sa spiegare il fatto. 
E' Dio che, per mezzo di un Angelo, in sogno ammonisce Giuseppe di astenersi anche semplicemente dal rimandare la sua sposa, e lo esorta invece a prenderla tranquillamente con sé, perché la maternità di Lei a nessuno era da attribuirsi se non a Dio stesso.
La santità di Giuseppe, cioè del giusto che se incorre in qualche imperfezione subito risorge (Proverbi 24, 16), risplende immediatamente di più viva luce:
per aver subito ubbidito all'Angelo (Matteo 1, 24);
per aver subito deciso di compiere in tutto la volontà di Dio (Matteo 1, 24) 
La santità di Maria rifulge di specialissima luce in questa terribile circostanza:
per ubbidire a Dio, che voleva riservarsi di manifestare a Giuseppe l'inspiegabile mistero, nulla disse al suo sposo, pur soffrendo acutamente per la prolungata e cocente ambascia del suo sposo e per il pericolo «che un giusto mancasse, egli che non mancava mai...»
Veramente, Maria e Giuseppe, anche in questa dolorosa circostanza e prova, appaiono «...due santi che più grandi il mondo non ha»


Dice Maria:

L'infanzia, la fanciullezza, l'adolescenza e la gioventù del Figlio mio hanno solo brevi tratti nel quadro vasto della sua vita descritto dai Vangeli. In essi Egli è il Maestro. Qui è l'Uomo.

E' il Dio che si umilia per amore dell'uomo. E che pure opera miracoli anche nell'annichilimento di una vita comune. Li opera in me, che sento portata alla perfezione la mia anima a contatto col Figlio che mi cresce in seno. Li opera nella casa di Zaccaria santificando il Battista, aiutando il travaglio di Elisabetta, rendendo parola e fede a Zaccaria. Li opera in Giuseppe aprendogli lo spirito alla luce di una verità talmente eccelsa che egli non la poteva da solo comprendere nonostante fosse un giusto. E dopo di me il più letificato da quèsta pioggia di divini benefizi è Giuseppe.

Osserva quanto cammino fa, spirituale cammino, da quando viene nella mia casa sino al momento della fuga in Egitto. All'inizio non era che un uomo giusto del suo tempo. Poi per fasi successive diviene il giusto del tempo cristiano.

Si è sempre lasciato dirigere da me, per il rispetto venerabondo che per me nutriva. Ora dirige lui, e le cose materiali e quelle superiori, e decide, da capo della Famiglia, quanto vi è da decidere. Non solo, ma nell'ora penosa della fuga, dopo che mesi di unione col Figlio Divino lo hanno saturato di santità, è lui che conforta il mio penare e mi dice: "Anche non dovessimo avere più niente avremo sempre tutto perché avremo Lui".

I doni dei Magi, nell'usura che stringe alla gola un povero fuggiasco, dileguarono rapidi come il baleno per l'acquisto di un tetto e di quel minimo di masserizie necessarie alla vita, di quel cibo che era pur necessario e che solo da quel cespite venne, sinché; non trovammo lavoro.

La comunità ebraica si è sempre molto aiutata. Ma la comunità raccolta in Egitto era quasi tutta composta di profughi perseguitati, poveri perciò come noi che venivamo ad aggiungerci a loro. E un poco di quella ricchezza, che volevamo tenere per Gesù, per il nostro Gesù adulto, salvatasi dalle spese della sistemazione in Egitto, fu provvida per il ritorno e appena sufficiente a riorganizzare casa e laboratorio a Nazareth al nostro ritorno. Perché gli eventi cambiano, ma l'avidità umana è sempre uguale, e dell'altrui bisogno se ne serve per succhiare la sua parte in maniera esosa.

No. L'aver con noi Gesù non ci procurò beni materiali. Molti di voi pretendono questo quando appena appena sono un poco uniti a Gesù. Dimenticano che Egli ha detto: "Cercate le cose dello spirito". Tutto il resto è un sovrappiù. Dio provvede anche il cibo. Agli uomini come agli uccelli. Perché sa che di cibo avete bisogno sinché la carne è armatura intorno alla vostra anima. Ma chiedete prima la sua grazia. Chiedete prima per lo spirito vostro.

Il resto vi sarà dato per giunta. Giuseppe dall'unione con Gesù ebbe, umanamente parlando, affanni, fatiche, persecuzioni, fame.

Altro non ebbe. Ma poiché tendeva a Gesù solo, tutto questo si cambiò in spirituale pace, in sovrannaturale letizia. lo vorrei portarvi al punto in cui era lo Sposo mio quando diceva: "Anche non dovessimo avere più niente avremo sempre tutto perché abbiamo Gesù".
Dice Gesù:
A tutte le mogli che un dolore tortura, insegno ad imitare Maria nella sua vedovanza: unirsi a Gesù.
Coloro che pensano che Maria amasse di un amore tiepido lo sposo, poiché le era sposo di spirito e non di carne, sono parimenti in errore. Maria amava intensamente il suo Giuseppe, al quale aveva dedicato sei lustri di vita fedele. Giuseppe le era stato padre, sposo, fratello, amico, protettore.
Ora Ella si sentiva sola come tralcio di vite al quale viene segato l'albero a cui si reggeva. La sua casa era come colpita dal fulmine. Si divideva. Prima era una unità in cui i membri si sostenevano a vicenda. Ora veniva a mancare il muro maestro, primo dei colpi inferti a quella Famiglia, segnato del prossimo abbandono del suo amato Gesù.
La volontà dell'Eterno, che l'aveva voluta sposa e Madre, ora le imponeva vedovanza e abbandono della sua Creatura. Maria dice fra le lacrime uno dei suoi sublimi "Sì". "Sì, Signore, si faccia di me secondo la tua parola".
E per aver forza in quell'ora, si stringe a Me. Sempre si è stretta a Dio, Maria, nelle ore più gravi della sua vita. Nel Tempio chiamata alle nozze, a Nazareth chiamata alla Maternità, ancora a Nazaret fra le lacrime della vedovanza, a Nazaret nel supplizio del distacco dal Figlio, sul Calvario nella tortura del vedermi morire.
Imparate, voi che piangete. E imparate voi che morite. Imparate, voi, che vivete per morire. Cercate di meritare le parole che dissi a Giuseppe. Saranno la vostra pace nella lotta della morte. Imparate, voi che morite, a meritare d'aver Gesù vicino, a vostro conforto. E se anche non l'avete meritato, osate ugualmente di chiamarmi vicino. lo verrò. Le mani piene di grazie e di conforti, il Cuore pieno di perdono e d'amore, le labbra piene di parole di assoluzione e di incoraggiamento.
La morte perde ogni asprezza se avviene fra le mie braccia.
Credetelo. Non posso abolire la morte, ma la rendo soave a chi muore fidando in Me.



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