Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

sabato 1 novembre 2014

L'INFERNO C'E' III PARTE



RACCONTA UN ARCIVESCOVO...

Mons. Antonio Pierozzi, Arcivescovo di Firenze, famoso per la sua pietà e dottrina, nei suoi scritti narra un fatto, verificatosi ai suoi tempi, verso la metà del XV secolo, che seminò grande sgo­mento nell'Italia settentrionale.

All'età di diciassette anni, un ragazzo aveva tenuto nascosto in Confessione un peccato grave che non osava confessare per ver­gogna. Nonostante questo si accostava alla Comunione, ovvia­mente in modo sacrilego.

Tormentato sempre più dal rimorso, invece di mettersi in gra­zia di Dio, cercava di supplire facendo grandi penitenze. Alla fine decise di farsi frate. "Là - pensava - confesserò i miei sacrilegi e farò penitenza di tutte le mie colpe".

Purtroppo, il demonio della vergogna riuscì anche là a non far­gli confessare con sincerità i suoi peccati e così trascorsero tre an­ni in continui sacrilegi. Neanche sul letto di morte ebbe il corag­gio di confessare le sue gravi colpe.

I suoi confratelli credettero che fosse morto da santo, perciò il cadavere del giovane frate fu portato in processione nella chiesa del convento, dove rimase esposto fino al giorno dopo.

AI mattino, uno dei frati, che era andato a suonare la campana, tutto a un tratto si vide comparire davanti il morto circondato da catene roventi e da fiamme.

Quel povero frate cadde in ginocchio spaventato. II terrore rag­giunse il culmine quando sentì: "Non pregate per me, perché so­no all'inferno!"... e gli raccontò la triste storia dei sacrilegi.

Poi sparì lasciando un odore ripugnante che si sparse per tutto il convento.

I superiori fecero portare via il cadavere senza i funerali.



UN PROFESSORE DI PARIGI

Sant'Alfonso Maria De' Liguori, Vescovo e Dottore della Chie­sa, e quindi particolarmente degno di fede, riporta il seguente epi­sodio.

Quando l'università di Parigi si trovava nel periodo di maggior splendore, uno dei suoi più celebri professori morì improvvisa­mente. Nessuno si sarebbe immaginato la sua terribile sorte, tanto meno il Vescovo di Parigi, suo intimo amico, che pregava ogni giorno in suffragio di quell'anima.

Una notte, mentre pregava per il defunto, se lo vide apparire davanti in forma incandescente, col volto disperato. II Vescovo, compreso che l'amico era dannato, gli rivolse alcune domande; gli chiese tra l'altro: "All'inferno ti ricordi ancora delle scienze per le quali eri così famoso in vita?".

"Che scienze... che scienze! In compagnia dei demoni abbia­mo ben altro a cui pensare! Questi spiriti malvagi non ci danno un momento di tregua e ci impediscono di pensare a qualunque altra cosa che non siano le nostre colpe e le nostre pene. Queste sono già tremende e spaventose, ma i demoni ce le inaspriscono in modo da alimentare in noi una continua disperazione!"



LA DISPERAZIONE E I DOLORI SOFFERTI DAI DANNATI



IL DOLORE PIU’ ATROCE: LA PENA DEL DANNO

Provata l'esistenza dell'inferno con gli argomenti della ragione, con quelli della Rivelazione divina e con episodi documentati, consideriamo ora in che cosa consista essenzialmente la pena di chi cade nel baratro infernale.

Gesù chiama gli abissi eterni: "luogo di tormento" (Lc 16, 28). Molte sono le pene sofferte dai dannati all'inferno, ma la prin­cipale è quella del danno, che San Tommaso d'Aquino definisce: “privazione del Sommo Bene”, cioè di Dio.

Noi siamo fatti per Dio (da Lui veniamo e a Lui andiamo), ma finché siamo in questa vita possiamo anche non dar alcuna im­portanza a Dio e tamponare, con la presenza delle creature, il vuoto lasciato in noi dall'assenza del Creatore.

Finché è qui sulla terra, l'uomo può stordirsi con delle piccole gioie terrene; può vivere, come purtroppo fanno tanti che ignora­no il loro Creatore, saziando il cuore con l'amore a una persona, o godendo della ricchezza, o assecondando altre passioni, anche le più disordinate, ma in ogni caso, anche qui sulla terra, senza Dio l'uomo non può trovare la vera e piena felicità, perché la ve­ra felicità è solo Dio.

Ma appena un'anima entra nell'eternità, avendo lasciato nel mondo tutto ciò che aveva ed amava e conoscendo Dio così co­m'è, nella sua infinita bellezza e perfezione, si sente fortemente attratta ad unirsi a Lui, più che il ferro verso una potente calamita. Riconosce allora che l'unico oggetto del vero amore è il Sommo Bene, Dio, l'Onnipotente.

Ma se un'anima disgraziatamente lascia questa terra in uno sta­to di inimicizia verso Dio, si sentirà respinta dal Creatore: "Via, lontano da me, maledetta, nel fuoco eterno, preparato per il dia­volo e per i suoi angeli!" (Mt 25, 41).

Aver conosciuto il Supremo Amore... sentire il bisogno im­pellente di amarlo e di essere riamati da Lui... e sentirsene re­spinti... per tutta l'eternità, questo è il primo e più atroce tor­mento per tutti i dannati.



AMORE IMPEDITO

Chi non conosce la potenza dell'amore umano e gli eccessi a cui può giungere quando sorge qualche ostacolo?

Visitavo l'ospedale Santa Marta di Catania; vidi sulla soglia di un camerone una donna in lacrime; era inconsolabile.

Povera madre! Stava morendo suo figlio. Mi sono soffermato con lei per dirle una parola di conforto ed ho saputo...

Quel ragazzo amava sinceramente una ragazza e voleva spo­sarla, ma non era da questa corrisposto. Davanti a questo ostacolo insuperabile, pensando di non poter più vivere senza l'amore di quella donna e non volendo che sposasse qualcun altro, giunse al colmo della follia: diede diverse coltellate alla ragazza e poi tentò il suicidio.

Quei due ragazzi spirarono nello stesso ospedale a poche ore di distanza.

Che cos'è l'amore umano in confronto all'Amore divino...? Che cosa non farebbe un'anima dannata pur di arrivare a pos­sedere Dio...?!?

Pensando che per tutta l'eternità non potrà amarlo, vorrebbe non essere mai esistita o sprofondare nel nulla, se fosse possibile, ma essendo questo impossibile sprofonda nella disperazione.

Ognuno può farsi una sia pur debole idea della pena di un dannato che si separa da Dio, pensando a ciò che prova il cuore umano alla perdita di una persona cara: la sposa alla morte dello sposo, la madre alla morte di un figlio, i figli alla morte dei loro genitori...

Ma queste pene, che sulla terra sono le sofferenze più grandi tra tutte quelle che possono straziare il cuore umano, sono ben poca cosa davanti alla pena disperata dei dannati.

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