Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

lunedì 30 novembre 2015

NOVENA ALL'IMMACOLATA composta da San Pio X 30 Novembre



Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.


Vieni Santo Spirito, riempi il cuore dei tuoi fedeli e accendi in noi il fuoco del Tuo amore.


V. Manda il Tuo Spirito, Signore, e tutto sarà ricreato.


R. E rinnoverai la faccia della terra.


Preghiamo.

O Dio, che con il dono dello Spirito Santo guidi i fedeli alla piena luce della verità, donaci di gustare nel medesimo tuo Spirito la vera sapienza e di godere sempre del suo conforto. Per Cristo Nostro Signore. Amen.

VANGELO Dal Vangelo secondo Luca (2, 22.25.34-35.39-40.51b-52) Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione - e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.


TI SALUTO, O MARIA
Ti saluto, o Maria, tutta pura, tutta irreprensibile e degna di lode.
Tu sei la Corredentrice, la rugiada del mio arido cuore, la serena luce della mia mente confusa, la riparatrice di tutti i miei mali.
Compatisci, o purissima, l’infermità dell’anima mia.
Tu puoi ogni cosa perché sei la Madre di Dio; a Te nulla si nega, perché sei la Regina. Non disprezzare la mia preghiera e il mio pianto, non deludere la mia attesa. Piega il Figlio tuo in mio favore e, finchè durerà questa vita, difendimi, proteggimi, custodiscimi.
3 Ave Maria
Vergine santissima che piaceste al Signore e diveniste sua Madre, immacolata nel corpo e nello spirito, nella fede e nell'amore, concepita senza peccato, guardate benigna ai miseri che implorano il vostro potente patrocinio!
Il maligno serpente contro cui fu scagliata la prima maledizione continua, purtroppo, a combattere e ad insidiare i miseri figli di Eva. Voi, o benedetta Madre nostra, nostra Regina e Avvocata, che fin dal primo istante del vostro concepimento schiacciaste il capo del nemico, accogliete le preghiere -- che uniti con Voi in un cuor solo -- Vi scongiuriamo di presentare al trono di Dio, perché non cediamo giammai alle insidie che ci vengono tese, così che tutti arriviamo al porto della salute, e fra tanti pericoli, la Chiesa e la società cristiana cantino ancora una volta l'inno della liberazione, della vittoria e della pace. Così sia
"O Maria, concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a Voi "  (per tre volte)

Tota pulchra es, Maria.
Et macula originalis non est in Te.
Tu gloria Ierusalem.
Tu laetitia Israel.
Tu honorificentia populi nostri.
Tu advocata peccatorum.
O Maria, O Maria.
Virgo prudentissima.
Mater clementissima.
Ora pro nobis.
Intercede pro nobis.


Ad Dominum Iesum Christum.

IL GRANDE ANNUNCIO

Quando Dio, per salvarci, decise di vivere tra noi, nella nostra con­dizione, con sangue e carne e vita umana come la nostra, volle avere una madre. La scelse non tra le donne più ricche del mondo o tra le più aristocratiche di Roma o di Atene, ma in mezzo a un popolo religioso, tra le più virtuose e sante. Dio, che rispetta sempre la libertà dell'uomo, mandò l'Arcangelo Gabriele a chiedere a Maria se accettava di divenire la Madre del Redentore. Maria, che si era consacrata totalmente a Dio ed accresceva in sè ogni giorno più il desiderio di compiere i suoi disegni, aprì l'ani­mo in tutta la sua larghezza e profondità per accogliere la volontà di Dio, il suo piano divino di salvezza, senza riguardo alle gioie e alle sof­ferenze, che le avrebbe procurato la missione di Madre del Messia.

«Nel sesto mese, l'Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse tale saluto. L'Angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato gra­zia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». (Lc 1,2 6-33)



La scena dell'Annunciazione costituisce il fatto più grande e più importante della storia umana. Essa sta al centro e al vertice di tutti i fatti umani, di tutte le vere aspirazioni dell'umanità. Infatti, gli uomini venuti prima del giorno dell'Annunciazione aspettavano e desideravano ardentemente la venuta del Messia e della Donna che lo avrebbe gene­rato, per salvarli dal peccato. Ammiriamo la Vergine SS., ringraziandola per essersi impegnata per noi e imitiamo con generosità il suo esempio di umiltà, di obbe­dienza e totale dedizione e disponibilità a Dio.

domenica 29 novembre 2015

Novena dell'Immacolata Concezione di Maria Santissima composta da San Pio X 29 /11


Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.


Vieni Santo Spirito, riempi il cuore dei tuoi fedeli e accendi in noi il fuoco del Tuo amore.


V. Manda il Tuo Spirito, Signore, e tutto sarà ricreato.


R. E rinnoverai la faccia della terra.


Preghiamo.


O Dio, che con il dono dello Spirito Santo guidi i fedeli alla piena luce della verità, donaci di gustare nel medesimo tuo Spirito la vera sapienza e di godere sempre del suo conforto. Per Cristo Nostro Signore. Amen.


Dal Vangelo secondo Luca (1, 26-38) Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”. A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato 9 Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei.


1° GIORNO


INVOCAZIONE D’AIUTO A MARIA


O Vergine Immacolata, primo e soave frutto di salvezza, noi Ti ammiriamo e con Te celebriamo le grandezze del Signore che ha fatto in Te mirabili prodigi.
Guardando Te, noi possiamo capire ed apprezzare l’opera sublime della Redenzione e possiamo vedere nel loro risultato esemplare le ricchezze infinite che Cristo, con il Suo Sangue, ci ha donato.
Aiutaci, o Maria, ad essere, come Te, salvatori insieme con Gesù di tutti i nostri fratelli. Aiutaci a portare agli altri il dono ricevuto, ad essere “segni” di Cristo sulle strade di questo nostro mondo assetato di verità e di gloria, bisognoso di redenzione e di salvezza. Amen.
3 Ave Maria

Vergine santissima che piaceste al Signore e diveniste sua Madre, immacolata nel corpo e nello spirito, nella fede e nell'amore, concepita senza peccato, guardate benigna ai miseri che implorano il vostro potente patrocinio!
Il maligno serpente contro cui fu scagliata la prima maledizione continua, purtroppo, a combattere e ad insidiare i miseri figli di Eva. Voi, o benedetta Madre nostra, nostra Regina e Avvocata, che fin dal primo istante del vostro concepimento schiacciaste il capo del nemico, accogliete le preghiere -- che uniti con Voi in un cuor solo -- Vi scongiuriamo di presentare al trono di Dio, perché non cediamo giammai alle insidie che ci vengono tese, così che tutti arriviamo al porto della salute, e fra tanti pericoli, la Chiesa e la società cristiana cantino ancora una volta l'inno della liberazione, della vittoria e della pace. Così sia!

"O Maria, concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a Voi " (per tre volte)

Tota pulchra es, Maria.
Et macula originalis non est in Te.
Tu gloria Ierusalem.
Tu laetitia Israel.
Tu honorificentia populi nostri.
Tu advocata peccatorum.
O Maria, O Maria.
Virgo prudentissima.
Mater clementissima.
Ora pro nobis.
Intercede pro nobis.
Ad Dominum Iesum Christum.


LA PROFEZIA DI ISAIA

Unaltra pagina della Bibbia, scritta anni prima della nascita di Maria, parla di lei in modo meraviglioso: annunzia che sarebbe stata Vergine-madre dell'Emanuele, cioè di Dio fatto visibile e vivente tra noi. Ecco, in breve, le circostanze in cui fu pronunciata la profezia: Israele, il popolo scelto e prediletto da Dio, era minacciato da molti nemici. Il re si affannava a preparare fortificazioni e a contrarre allean­ze con i popoli pagani e corrotti, per avere aiuti.

«Il Signore parlò ancora al re dicendo. «Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure lassù in alto». Ma il re rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaia disse: «Ascoltate casa di Davide! Non vi basta di stancare la pazienza degli uomini perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele» (Is 7,14).
Noi sappiamo che questa profezia si è avverata a Nazaret: la Vergi­ne-Madre è Maria, l'Emanuele, suo figlio, è Gesù Cristo, il Dio-con-noi, vero Dio e vero Uomo che ha meritato e offerto a tutta l'umanità una grande alleanza, una grande salvezza, nel suo sangue, con Dio Padre. In questa profezia, la figura luminosa della Madonna ci appare in tutta la sua sublime grandezza: come creatura pura e vergine si eleva al di sopra della terra; e come Madre di Dio e collaboratrice del Redento­re è la più vicina a Dio nei cieli.

1 Salve Regina

NOVENA ALL'IMMACOLATA composta da San Pio X (dal 29 novembre al 7 dicembre)


Tota Pulchra es Maria


Vergine santissima che piaceste al Signore e diveniste sua Madre, immacolata nel corpo e nello spirito, nella fede e nell'amore, concepita senza peccato, guardate benigna ai miseri che implorano il vostro potente patrocinio!
Il maligno serpente contro cui fu scagliata la prima maledizione continua, purtroppo, a combattere e ad insidiare i miseri figli di Eva. Voi, o benedetta Madre nostra, nostra Regina e Avvocata, che fin dal primo istante del vostro concepimento schiacciaste il capo del nemico, accogliete le preghiere -- che uniti con Voi in un cuor solo -- Vi scongiuriamo di presentare al trono di Dio, perché non cediamo giammai alle insidie che ci vengono tese, così che tutti arriviamo al porto della salute, e fra tanti pericoli, la Chiesa e la società cristiana cantino ancora una volta l'inno della liberazione, della vittoria e della pace. Così sia"O Maria, concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a Voi " ( per tre volte)

Tota pulchra es, Maria.
Et macula originalis non est in Te.
Tu gloria Ierusalem.
Tu laetitia Israel.
Tu honorificentia populi nostri.
Tu advocata peccatorum.
O Maria, O Maria.
Virgo prudentissima.
Mater clementissima.
Ora pro nobis.
Intercede pro nobis.

Ad Dominum Iesum Christum.

È una devozione più che millenaria quella in onore di Maria Immacolata, la cui solennità si celebra l’8 dicembre. Una festa che da molti anni viene associata anche al tradizionale omaggio di fiori alla statua della Madonna in piazza di Spagna a Roma.

In effetti, il dogma di Maria concepita senza la macchia del «peccato originale» è stato proclamato soltanto nel 1854. Ma sin dal Quattrocento la relativa festa era inserita nel Calendario liturgico e i devoti la preparavano con la recita quotidiana di una Novena, tuttora praticata utilizzando una notevole varietà di schemi.
Ancor più antico è il testo della preghiera che sarebbe stata insegnata dalla Vergine stessa a santa Geltrude la Grande: per nove giorni di seguito si pregano quotidianamente 30 Ave Maria, in memoria dei 270 giorni che ella trascorse nel grembo di sua madre sant’Anna. Seguono poi un’orazione e alcune specifiche invocazioni.
La solennità dell’Immacolata Concezione si lega anche alla consacrazione al Cuore immacolato di Maria che molti fedeli attuano in questo giorno. È una pia pratica che affonda le sue radici nel Medioevo, quando si venerava la Madonna con il titolo di «sovrana». Ma il vero araldo della consacrazione mariana fu san Luigi Maria Grignion de Montfort, che nel Settecento pubblicò ilTrattato della vera devozione a Maria.
Si tratta di un testo spirituale tuttora molto apprezzato, nel quale il santo ha tracciato un itinerario di trentatré giorni per prepararsi alla consacrazione. I primi dodici giorni rappresentano un periodo di preghiera e di raccoglimento per imparare a vincere l’attaccamento alle cose del mondo. Le successive tre settimane sono dedicate, ciascuna, all’offerta a Dio, a Cristo e allo Spirito Santo di ogni momento della giornata. Infine viene recitato l’atto di consacrazione a Maria, con una formula nella quale il devoto rinnova gli impegni del battesimo e dichiara solennemente: «Offro a Maria la mia persona, la mia vita e il valore delle mie buone opere, passate, presenti e future».


Durante la Novena si consiglia di:


1) Pregare ogni giorno una decina del Rosario, o meglio una parte intera,


2) Fare dei canti in onore della B.V. Maria,


3) Fare dei fioretti per la gloria di Maria,


4) Vivere la Novena come momento di conversione personale o di gruppo,


5) Curare il silenzio per la riflessione personale.


giovedì 26 novembre 2015

Due ecclesiologie a confronto: La dottrina della libertà religiosa e quella delle due spade di don Mauro Tranquillo




«Domine, ecce duo gladii hic» «Satis est» (Lc 22, 38) 
Il 7 dicembre 2005 ricorreva il quarantesimo anniversario della Dichiarazione conciliare Dignitatis humanae, sul «diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile religiosa». Vi si legge la notissima frase, al n. 2: «Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di tale libertà è che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire secondo la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa, privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana, quale si conosce, sia per mezzo della parola di Dio sia tramite la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nellʼordinamento giuridico della società»( 1 ). Tale affermazione era stata condannata tale e quale dallʼEnciclica Quanta cura di Papa Pio IX, che riprendeva Mirari vos di Gregorio XVI, come tutti sanno: del tutto falsa e dannosa alla Chiesa e alle anime, anzi follia è lʼopinione che vuole «la libertà di coscienza e dei culti essere diritto proprio di ciascun uomo, che si deve con legge proclamare e sostenere in ogni società ben costituita, ed essere diritto dʼogni cittadino una totale libertà, che non può essere limitata da alcuna autorità vuoi civile, vuoi ecclesiastica, di manifestare e dichiarare i propri pensieri quali che siano sia a viva voce, sia con la stampa, sia in altro modo palesemente e in pubblico»( 2 ). Appare chiaro a tutti come sia condannata lʼidea che esista un diritto ad una professione esterna di false opinioni senza possibilità di esserne impediti dallʼautorità. La Chiesa insegna che -e dunque Nostro Signore ha rivelato che un tale diritto non esiste. Può essere a volte tollerata lʼuna o lʼaltra cattiva azione, ma tale tolleranza non si fonderà mai su un diritto della persona: può fondarsi su unʼimpossibilità dellʼautorità ad intervenire, su una necessità, sul timore di un male più grave, etc. Una cosa è dire che purtroppo non tutti i furti possono essere puniti o impediti, unʼaltra che il furto è un diritto di ogni persona umana. Si vede bene come Dignitatis humanae si allontani dalla dottrina della Chiesa. Il nostro intento è mostrare, al di là del singolo problema della libertà religiosa, quanto si estenda lʼautorità della Chiesa e del Papa in fatto di coercizione (dalla quale, in materia religiosa, tutti dovrebbero essere liberi, secondo il Concilio) e di potestà temporale, naturalmente fondandoci sui testi del Magistero di tutti i tempi. Si vedrà come lo spirito e la lettera del Vaticano II si allontanino da tale dottrina. ALCUNE NOZIONI DA TENER BEN PRESENTI 

giovedì 19 novembre 2015

Mons. Marcel Lefebvre: un profeta del XX secolo

In un clima ecclesiale dominato dai “profeti“ del rinnovamento conciliare, si contrappone alla marea montante un Vescovo che dichiaratamente non guarda al futuro, ma al passato. Ma il futuro della Chiesa tende sempre più a rispecchiarsi in lui che negli araldi del nuovo, perché la Tradizione è la Chiesa stessa, la sua eterna giovinezza e, dunque, inevitabilemnte il suo futuro.

Appare senz’altro curioso il concetto di profezia emerso dai documenti del Concilio Vaticano II. Mentre infatti, da una parte, assistiamo ad una enfatizzazione di questo elemento, fino ad insistere fortemente su tale funzione attribuita ad ogni battezzato , dall’altra, specialmente nel famoso discorso di apertura di Giovanni XXIII, notiamo una severa stigmatizzazione dei cosiddetti «profeti di sventura» che il Pontefice così descrive: «Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali con- 1 Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, 12: AAS 57 (1965), 16. Vedi anche Catechismo della Chiesa Cattolica n. 785. dizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo»2 . In realtà, secondo la definizione sia letterale che teologica, i profeti sono coloro che parlano in nome di Dio. Nell’Antico Testamento - ma anche, in una accezione più ampia, per ciò che riguarda molti santi cristiani - costoro annunziano sia le sventure, sia la Salvezza venuta all’uomo tramite l’Incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo, sia le piaghe d’Egitto, sia la vittoria della nuova Eva, Maria, sul ser- pente diabolico. Non è, dunque, impor- tante che la profezia contenga buone noti- zie o punizioni celesti, ciò che è davvero fondamentale è che sia vera e rispecchi, in ogni sua parte, la Verità rivelata. Secondo i canoni del sopracitato discorso, del resto, sarebbe fin troppo facile arruolare fra i deprecati «profeti di sventura» addirittura la Madonna di Fatima che annunciò, nei suoi messaggi ai tre pastorelli, la Seconda Guerra mondiale e le terribili persecuzioni del comunismo ateo. Ma, di fatto, il post-concilio capovolse l’idea tradizionale rispetto all’ispirazione dello Spirito Santo. 
2 Giovanni XXIII, Solenne allocutio di apertura del Concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962
«Dagli anni Sessanta in poi, dentro la Chiesa, chiunque si sia alzato a con- testare l’autorità e la gerarchia è stato accolto come profeta da un popolo di Dio entusiasticamente inclinato al tumulto. Se a concetti come “profezia” e “popolo di Dio” si aggiungono quelli di “carisma”, “comunione” e “segni dei tempi” si completa l’abbecedario attorno al quale ha proliferato la deriva anti-romana che, dopo il Concilio, ha investito il corpo ecclesiale»3 . Vorrei dunque esaminare se, ed in che senso, si possa parlare di “profezia” nella vita e nell’opera di Mons. Marcel Lefebvre (1905-1991). Proverò a proporre alcuni sintetici spunti di riflessione basati anzitutto sugli avvenimenti accaduti nel periodo post-conciliare e, ancor di più, nei venti anni successivi alla scomparsa del Vescovo francese, fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Prenderò in esame, senza alcuna pretesa di esaustività, essenzialmente tre aspetti del suo Magistero episcopale. In ognuno di questi ambiti, senza tema di poter essere smentito, a distanza di due decenni dalla morte, ogni osser- vatore intellettualmente onesto non potrà negare che Mons. Lefebvre aveva ragione, mentre la quasi totalità degli ecclesiastici e dei commentatori catto- lici del tempo presero, magari in buona fede, dei grandi abbagli. La crisi Nei primi anni successivi alla chiu- sura del Concilio Vaticano II scoppiò, all’interno della Chiesa, una crisi senza 3 A. Gnocchi - M. Palmaro, La bella Addormentata, ed. Vallecchi 2011, pag. 101. L’Arcivescovo di Torino, Cardinale Michele Pellegrino (1903-1986), uno dei maggiori “profeti” del «rinnovamneto conciliare» precedenti. Migliaia di sacerdoti lasciarono il ministero, vi furono un crollo verticale delle vocazioni, un annacquamento delle regole negli ordini religiosi, una flessione sempre più accentuata della pratica domenicale fra i fedeli. Nonostante, però, l’evidenza della situazione, assolutamente drammatica, gli ecclesiastici di allora, e anche, in buona parte, quelli di oggi, pur non perdendo occasione per far riferimento ai «segni dei tempi», si mostrarono assolutamente ciechi ed incapaci di comprendere la realtà, anche esibendosi in discorsi del tipo: «Una volta i cristiani erano tali solo per abitudine. Oggi sono meno ma, grazie al Concilio, più con- vinti». Altri si lanciavano in discettazioni circa una supposta «crisi di crescenza» del mondo cattolico. I più, si limitavano semplicemente a chiudere gli occhi, tra- volti dalla declamazione retorica sulla «nuova Pentecoste» o cullati in una fidei- stica e irrazionale fiducia nel futuro. Non mancarono, infine, e conti- nuano a non mancare, coloro che impu- tavano la crisi, non allo smantellamento sistematico di dottrina, catechismo e liturgia, ma alla non sufficiente messa in pratica dello spirito, naturalmente “profetico”, del Concilio. Ma tutti questi “profeti” oggi, tranne qualche sparuta pattuglia di irriducibili, ormai anziani, non osano quasi più far sentire la propria voce. Paiono soltanto vecchi tromboni sfiatati, che nessuno più ascolta e che riescono, sempre più faticosamente, a farsi sentire da qualche nostalgico, grazie al mega- fono dei grandi organi di informazione ecclesiali, sempre devotissimi al fascino archeologico dei “dinosauri”. Cosa diceva, invece, nei medesimi anni, Mons. Marcel Lefebvre? Per dare una risposta ci baseremo essenzialmente su un documento assai significativo, una lettera inviata dal presule francese al Card. Alfredo Ottaviani (1890-1979), prefetto del Sant’Uffizio. La missiva risale al 1966, quando il Concilio cioè era stato appena chiuso ed ancora non si erano evidenziati i fenomeni più gravi degli anni successivi. «Oso dire che il male attuale mi sembra molto più grave della negazione o messa in dubbio di una verità della nostra fede. Esso si manifesta, attualmente, con una confusione estrema delle idee, con la disgregazione delle istituzioni della Chiesa, istituzioni religiose, seminari, scuole cattoliche, insomma di ciò che è stato il sostegno permanente della Chiesa, ma altro non è che la continuazione logica delle eresie e degli errori che minano la Chiesa da alcuni secoli, specialmente a partire dal liberalismo del secolo scorso, che si è sforzato, ad ogni costo, di conciliare la Chiesa e le idee sfociate nella Rivoluzione. La Chiesa ha fatto dei progressi nella misura in cui si è opposta a tali idee, che vanno contro la sana filosofia e la teologia; al contrario, ogni compromesso con queste idee sov- versive ha provocato un allineamento della Chiesa al diritto comune e il rischio di renderla schiava delle società civili». Sono parole sicuramente molto diverse. Già in quel tempo infatti l’Arci- vescovo francese può osservare alcune linee di tendenza inequivocabili all’in- terno della Chiesa, analizza tali orienta- menti con estrema lucidità e ne identifica, senza grande difficoltà, le cause prossime e remote. E per tutto il resto della sua vita egli non cesserà mai di denunciare e condannare le deviazioni dottrinali di molti uomini di Chiesa, mostrando, nel contempo, le conseguenze disastrose che avrebbero portato. «Bisogna dunque concludere, costretti dall’evidenza dei fatti, che il Concilio ha favorito in maniera inconce- pibile la diffusione degli errori liberali. La fede, la morale, la disciplina eccle- siastica sono scosse dalle fondamenta, secondo le predizioni di tutti i Papi»4 . Certamente, nella lettura di Mons. Lefebvre, il fenomeno storico ed eccle- siale del Concilio Vaticano II, con i suoi documenti e le vicende che lo con- traddistinsero, non è separabile dagli avvenimenti successivi. Il Concilio, in altre parole, non rappresenta certa- mente l’unica causa della crisi, ma non si può negare che abbia notevolmente contribuito alla sua deflagrazione negli ultimi decenni del XX secolo. «Si può e si deve disgraziatamente affermare che, in linea quasi generale, quando il Concilio ha fatto delle inno- vazioni, ha scosso la certezza delle verità insegnate dal Magistero autentico della Chiesa come appartenenti definitiva- mente al tesoro della Tradizione. Sia, che si tratti della trasmissione della giurisdi- zione dei vescovi, delle due fonti della Rivelazione, dell’ispirazione scritturale, della necessità della Grazia per la giusti- ficazione, della necessità del battesimo cattolico, della vita della Grazia presso 4 Mons. Marcel Lefebvre, Lettera al Card. Ottaviani, 1966. 14 La Tradizione Cattolica gli eretici, gli scismatici e i pagani, dei fini del matrimonio, della libertà religiosa, dei novissimi, ecc. Su questi punti fondamenti la dottrina tradizionale era chiara e insegnata unanimemente nelle università cattoliche. Invece, molti testi del Concilio permettono ormai di dubi- tare di queste verità»5 . La Messa Esiste, però, fra i molti altri, un ulteriore punto in cui la profezia di Mons. Marcel Lefebvre si mostrò asso- lutamente lucida e precisa. La cosiddetta riforma liturgica del 1969 fu infatti quasi universalmente salutata come un evento che avrebbe finalmente riportato grandi masse di fedeli nelle chiese e riavvicinato il «popolo di Dio» alla frequenza religiosa almeno festiva. Arrivava la «actuosa partecipatio», l’astruso latinorum andava in soffitta ed ognuno avrebbe potuto capire tutto quello che avveniva sull’Altare, le musiche e i canti ritmati avrebbero attratto maggiormente i giovani, le preghiere divenivano più vicine alla sensibilità dell’uomo moderno, il prete guardava finalmente in faccia l’assemblea senza darle maleducatamente le spalle, la parola di Dio aumentava la sua presenza nella Messa, il sacerdote diventava «uno di noi» e non si manteneva, come una volta, lontano e vestito con ricchi ed anacronistici paramenti. Tutto era stato attentamente stu- diato da grandi esperti allo scopo di inco- raggiare sempre di più la partecipazione dei cattolici alle funzioni parrocchiali. Ecco come si esprime, ancora quest’anno, ad esempio, il “grande liturgista” benedettino p. Ildebrando Scicolone: «Oggi, grazie alla riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II, si partecipa più e meglio di prima: ascoltiamo e comprendiamo le letture, cantiamo, portiamo le offerte, facciamo la comunione; ma questa è la partecipazione rituale. Bisogna comprendere che attraverso il rito (per ritus et preces) dobbiamo esprimere anche la nostra partecipazione all’evento»6 . 5 Ibidem. 6 P. Ildebrando Scicolone osb: “L’Eucarestia fa la Chiesa: itinerario di catechesi liturgica”, Vicariato di Roma, Ufficio Liturgico, 2011. Questa certezza di favorire la partecipazione ai sacri riti attraverso gli stravolgimenti apportati al Messale Romano, affiora anche dalle parole del Santo Padre Paolo VI, pronunciate nel giorno in cui si avviava ufficialmente il processo di riforma liturgica: «Questa domenica segna una data memorabile nella storia spirituale della Chiesa, perchè la lingua parlata entra ufficialmente nel culto liturgico, come avete già visto questa mattina. La Chiesa ha ritenuto doveroso questo provvedimento, il Concilio lo ha suggerito e deliberato, e questo per rendere intelliggibile e far capire la sua preghiera. Il bene del popolo esige questa premura sì da rendere possibile la partecipazione attiva dei fedeli al culto pubblico della Chiesa»7 . Mons. Lefebvre si mantenne, invece, sempre fermamente ancorato alla Santa Messa di sempre. Ne difese vigorosamente l’integrità e la purezza. Sapeva benissimo - ed in tal senso ripeteva spesso l’adagio lex orandi lex credendi - che alterare questo tesoro avrebbe comportato, come in effetti avvenne, la perdita di aspetti essen- ziali della fede. Quando, inoltre, ci si allontana in qualche modo dalla fonte perenne della verità, per basarsi ultima- mente su elementi prettamente umani, alla fine vien meno anche l’interesse degli stessi uomini, che cercano in realtà la dimensione trascendente della vita. 7 Paolo VI, Discorso dell’Angelus di domenica 7 marzo 1965. Monsignor Annibale Bugnini (1912-1982), il padre del Novus Ordo Missae 15 La Tradizione Cattolica Profilo profetico Padre Ildebrando Scicolone «Se la croce di Nostro Signore sparisse, se il Suo corpo e il Suo sangue non fossero più resi presenti, gli uomini finirebbero col ritrovarsi intorno a una tavola deserta e senza vita. Nulla più li unirebbe. Di qui, senza dubbio, quello scoraggiamento, quella noia, quella cupa tetraggine che cominciano a diffondersi ovunque. Di qui la crisi delle vocazioni, che non hanno più motivo. Di qui quella secolarizzazione e profanazione del sacerdote che non trova più la sua ragion d’essere. Di qui quell’appetito mondano. Per colpa di questa concezione protestante della Santa Messa, Gesù abbandona a poco a poco le chiese, così spesso profanate» . Come negare l’autentica profezia di queste poche parole, pronunciate nell’omelia del Corpus Domini nel 1969? Quando la liturgia diventa esclusivamente un fatto umano, finisce per annoiare e non attrae più, perché manca della sua dimensione verticale, della sacralità che permette all’uomo di salvarsi nel Sacrificio di Cristo. È ciò che purtroppo si è verificato negli anni successivi. Il Sacerdozio Così come per la frequenza domenicale dei fedeli, è senz’altro indubbio l’impressionante crollo delle vocazioni sacerdotali verificatosi nei cinque 8 Mons. Marcel Lefebvre, Vi trasmetto quello che ho ricevuto, Ed. Sugarco 2010. decenni che ormai ci separano dall’apertura del Concilio. Diventa quanto mai urgente interrogarsi sul perché di questa débâcle che ha colpito, soprattutto ma non solo, i paesi di più antica cristianiz- zazione come l’Europa e l’America. Per fornire una spiegazione credi- bile si sono invocate ragioni di natura squisitamente sociologica: la secolarizzazione del mondo contemporaneo, il materialismo dilagante, il consumismo ecc. È senz’altro probabile che tutti questi elementi abbiano contribuito alla crisi vocazionale ma, altrettanto onestamente, bisogna riconoscere che tale spiegazione non appare esaustiva sul piano squisitamente storico. Altre religioni, come, ad esempio, l’Islam, pare che non abbiano particolarmente sofferto di questi processi sociali ed inoltre, per rimanere in ambito cattolico, possiamo notare come le congregazioni più legate alla Tradizione, contrariamente a quelle fortemente influenzate dallo spirito del Concilio, hanno senz’altro subito minori contraccolpi negativi sui loro organici. Anche qui dunque, come già visto prima, i cosiddetti “profeti” del Concilio, hanno sbagliato nettamente le loro previsioni. Secondo loro infatti, per attrarre i giovani alla vita sacerdotale, bisognava, in sostanza, renderla più facile; abbas- sando l’asticella, in altre parole, ci sarebbero stati più atleti in grado di saltarla. Ecco allora la rinuncia alla veste talare, l’aggiornamento delle regole nei conventi, l’esaltazione dell’impegno sociale dei parroci, l’attribuzione ai laici di varie funzioni liturgiche, come l’amministrazione della Santa Comunione. Sempre nella medesima logica “profetica”, oggi si propongono insistentemente la rinuncia al celibato e l’ordinazione delle donne. Ma fu l’idea stessa di sacerdote cattolico a mutare sostanzialmente dopo il Concilio. Vorrei soltanto, in tal senso, riportare due testi che entrambi, uno prima e l’altro dopo il fatidico 1965, tendono ad esporre organicamente l’essenza di tale concetto. Partirei, ma ci sono davvero migliaia di esempi, da un breve passo scritto da sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787): 16 La Tradizione Cattolica «Non mai alcun sacerdote dirà la messa colla divozione dovuta, se non ha la stima che merita un tanto sacrifi- cio. È certo che non può un uomo fare un’azione più sublime e più santa, che celebrare una messa: Nullum aliud opus, dice il concilio di Trento, adeo sanctum a Christi fidelibus tractari posse, quam hoc tremendum mysterium. Dio stesso non può fare che vi sia nel mondo un’azione più grande, che del celebrarsi una messa. Tutti i sacrifici antichi, con cui fu tanto onorato Iddio, non furono che un’ombra e figura del nostro sacrificio dell’altare. Tutti gli onori che han dati giammai e daranno a Dio gli angeli co’ loro ossequi, e gli uomini colle loro opere, penitenze e martirii, non han potuto né potranno giungere a dar tanta gloria al Signore, quanta gliene dà una sola messa; mentre tutti gli onori delle creature sono onori finiti; ma l’onore che riceve Iddio nel sacrificio dell’altare, venendogli ivi offerta una vittima d’infinito valore, è un onore infinito. La messa dunque è un’azione che reca a Dio il maggior onore che può darsegli: è l’opera che più abbatte le forze dell’inferno; che apporta maggior suffragio all’anime del purgato- rio; che maggiormente placa l’ira divina contro i peccatori, e che apporta maggior bene agli uomini in questa terra»9 . Passiamo ora a quanto scritto da un altro successore degli Apostoli, Mons. Sebastiano Dho, Vescovo emerito di Alba e fiero oppositore del Motu Proprio Summorum Pontificum: «Il sacerdozio ministeriale non ha altro scopo se non quello di essere a servizio del sacerdozio comune dei fedeli (compresi, lo ripetiamo, i ministri stessi!) affinché possano, in effetti, partecipare ai sacramenti e offrire il vero culto spirituale, come detto sopra sviluppato al n. 11; paradossalmente, ma non troppo, potremmo dire che se è vero che non possono e non debbono mancare i ministri ordinati perché i fedeli laici siano in grado di vivere la fede, è altrettanto vero che se per ipotesi venissero a man- care tutti i fedeli non avrebbe più senso lo stesso ministero ordinato! Dunque tutti partecipi dello stesso sacerdozio di Cristo, ma strettamente e indissolubilmente uniti, “ordinati l’uno all’altro”, per cui il dono specifico (ministero ordinato) ha senso unicamente nel e per il dono comune (sacerdozio)»10. Difficile reperire due discorsi più antitetici sul medesimo argomento. Ma, scendendo sul piano pratico e mettendoci nei panni di un giovane intenzionato ad entrare in seminario ci chiediamo: quale delle due prospettive si rivela oggettivamente più coinvol- gente ed entusiasmante? Quella di fare il “presidente” dell’assemblea che celebra la cena e poi occupare tutto il resto dei propri giorni in faccende sociali, sindacali, politiche, burocratiche… oppure quella di portare la Salvezza agli uomini tramite la celebrazione incruenta del Santo Sacrificio della Croce e perdonare i peccati aprendo alle sue pecorelle le porte del Paradiso? 9 S. Alfonso Maria de’ Liguori, La Messa e l’Ufficio strapazzati, parte I. 10 Mons. Sebastiano Dho, Sacerdozio e ministero ordinato in «Vita Pastorale», 2010, n 2, febbraio.Per quale motivo, inoltre, bisognerebbe altresì rinunciare alle gioie di farsi una famiglia, per poi svolgere un’attività di assistente sociale, coordinatore di gruppi vari, animatore, al massimo di educatore? Mons. Lefebvre si rendeva perfettamente conto della gravità di queste contraddizioni e cercò sempre, confortato dal gran numero di seminaristi che a lui si rivolsero, di dimostrare quanto fosse sublime il ruolo del prete cattolico, difendendone, nel contempo, l’identità e la funzione ecclesiale davvero insostituibile. Leggiamo alcuni passi dalla Lettera aperta ai cattolici perplessi: «Ho sotto gli occhi alcune fotografie, pubblicate da giornali cattolici, che rappresentano la messa così come spesso oggi vien celebrata. Osservando la prima, stento a capire di qual momento del Santo Sacrificio si tratti. Dietro un qualunque tavolo in legno, che non ha l’aria di esser neanche molto pulito e non è nemmeno coperto da una tovaglia, due personaggi in vestito e cravatta elevano o presentano l’uno un calice, l’altro un ciborio. […] Sullo stesso lato del tavolo, accanto al primo celebrante, due ragazze in pantaloni; accanto al secondo, due ragazzi in maglietta. E una chitarra appoggiata contro uno sgabello. […] Un tratto comune viene in luce da queste vedute scandalose: l’Eucaristia vi è degradata al rango d’un atto quotidiano, nella volgarità dell’ambientazione, delle suppellettili usate, degli atteggiamenti, delle vesti indossate. […] Rimaniamo certamente infastiditi da una messa che si è sforzata di scendere al livello degli uomini invece di elevarli verso Dio e che, mal compresa, non permette di risolvere e superare “i problemi”. L’in- coraggiamento a spingersi ancora più lontano mostra una volontà deliberata di distruggere il sacro. Il cristiano viene così derubato di qualcosa che gli è necessario, a cui aspira, perché portato a onorare e a riverire tutto ciò che ha una relazione con Dio. E a maggior ragione le materie del Sacrificio destinate a diventare il Suo Corpo e il Suo Sangue! 

NOBILISSIMA GALLORUM GENS


LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII
Nei confronti della Chiesa cattolica la nobilissima nazione dei Francesi, in molte e splendide imprese di pace e di guerra, si segnalò con tanto singolare eccellenza di meriti, che ne durerà eterna la riconoscenza e immortale la gloria. Avendo essa tempestivamente, dietro l’esempio del Re Clodoveo, abbracciato la legge di Cristo, ne ottenne, quale testimonianza e insieme premio onorevolissimo della sua fede e della sua devozione, di essere chiamata la Figlia primogenita della Chiesa. Sino da quella età, Venerabili Fratelli, gli antenati vostri furono spesso considerati in grandi e salutari imprese come gli strumenti della stessa provvidenza divina: ma in peculiar modo rifulse la virtù loro nel proteggere in tutta la terra il cattolicesimo, nel propagare fra le genti barbare la fede cristiana, nel liberare e custodire i luoghi santi della Palestina, tanto che divenne proverbiale quell’antica espressione: "Le opere di Dio attraverso i Francesi". Per queste ragioni avvenne che, essendosi essi dedicati con tutto il cuore alla difesa del cattolicesimo, poterono in un certo qual modo avere parte nelle glorie della Chiesa, e fondare così in pubblico come in privato un bel numero di istituzioni, nelle quali si ammirano le più luminose prove di religione, di beneficenza, di magnanimità.

mercoledì 18 novembre 2015

AETERNI PATRIS LETTERA ENCICLICA DI SUA SANTITÀ LEONE PP. XIII





A tutti i Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi 
del mondo cattolico che hanno grazia e comunione con la Sede Apostolica.

Venerabili Fratelli, 
salute e Apostolica Benedizione.

Il Figlio Unigenito dell’Eterno Padre, che apparve in terra a portare salute e luce di divina sapienza al genere umano, recò al mondo un beneficio grande e stupendo quando, sul punto di risalire al cielo, ordinò agli Apostoli che "andando ammaestrassero tutte le genti" (Mt 28,19), e lasciò la Chiesa, da Lui stesso fondata, maestra universale e suprema dei popoli. Infatti gli uomini, che furono salvi in forza della verità, attraverso la verità si dovevano conservare; né sarebbero durati a lungo i frutti delle dottrine celesti, donde derivò all’uomo la salute, se Cristo Signore non avesse stabilito un indefettibile magistero per erudire le menti nella fede. La Chiesa poi, confortata dalle promesse ed ispirandosi alla carità del suo divino Autore, rispose così fedelmente al mandato, che questo sempre ebbe in mira, questo volle soprattutto: ammaestrare nella religione e combattere senza tregua l’errore. Qua si rapportano le vigili fatiche dei singoli Vescovi, qua le leggi e i decreti dei Concili, e soprattutto la quotidiana sollecitudine dei Romani Pontefici, i quali, come successori del Beato Pietro Principe degli Apostoli nel primato, hanno il diritto ed il dovere di ammaestrare i fratelli e di consolidarli nella fede. E poiché, come ammonisce l’Apostolo, è facile che "tramite la filosofia e la vana fallacia" (Col 2,18) le menti dei fedeli siano tratte in inganno e che si corrompa in essi la purezza della fede, perciò i Pastori supremi della Chiesa ritennero sempre loro dovere far progredire con tutti i mezzi anche la vera scienza, e nel tempo stesso provvedere con particolare vigilanza che secondo la norma della fede cattolica fossero dovunque insegnate tutte le umane discipline, ma specialmente la filosofia, da cui dipende in gran parte la diretta ragione di tutte le altre scienze. Noi pure, fra le altre cose, abbiamo brevemente segnalato ciò, Venerabili Fratelli, quando a Voi tutti rivolgemmo la parola con la prima Lettera enciclica; ma ora l’importanza della materia e la condizione dei tempi Ci spingono a trattare nuovamente con Voi del modo di condurre gli studi di filosofia: esso deve corrispondere convenientemente al bene della fede ed alla stessa dignità delle scienze umane.

martedì 17 novembre 2015

LETTERA ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS DEL SOMMO PONTEFICE PIO X



AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
PRIMATI ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI
AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE
PACE E COMUNIONE.

Sugli errori del Modernismo



VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Introduzione

L'officio divinamente commessoCi di pascere il gregge del Signore ha, fra i primi doveri imposti da Cristo, quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa ai santi, ripudiando le profane novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome. La quale provvidenza del Supremo Pastore non vi fu tempo che non fosse necessaria alla Chiesa cattolica: stanteché per opera del nemico dell'uman genere, mai non mancarono "uomini di perverso parlare (Act. XX, 30), cianciatori di vanità e seduttori (Tit. I, 10), erranti e consiglieri agli altri di errore (II Tim. III, 13)". Pur nondimeno gli è da confessare che in questi ultimi tempi, è cresciuto oltre misura il numero dei nemici della croce di Cristo; che, con arti affatto nuove e piene di astuzia, si affaticano di render vana la virtù avvivatrice della Chiesa e scrollare dai fondamenti, se venga lor fatto, lo stesso regno di Gesù Cristo. Per la qual cosa non Ci è oggimai più lecito di tacere, seppur non vogliamo aver vista di mancare al dovere Nostro gravissimo, e che Ci sia apposta a trascuratezza di esso la benignità finora usata nella speranza di più sani consigli.

Ed a rompere senza più gl'indugi Ci spinge anzitutto il fatto, che i fautori dell'errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch'è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d'ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gittano su quanto vi ha di più santo nell'opera di Cristo, non risparmiando la persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di un puro e semplice uomo.

Pericolo delle dottrine moderniste

Fanno le meraviglie costoro perché Noi li annoveriamo fra i nemici della Chiesa; ma non potrà stupirsene chiunque, poste da parte le intenzioni di cui Dio solo è giudice, si faccia ad esaminare le loro dottrine e la loro maniera di parlare e di operare. Per verità non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici della Chiesa i più dannosi. Imperocché, come già abbiam detto, i lor consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa; ond'è che il pericolo si appiatta quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei, con rovina tanto più certa, quanto essi la conoscono più addentro. Di più, non pongono già la scure ai rami od ai germogli; ma alla radice medesima, cioè alla fede ed alle fibre di lei più profonde. Intaccata poi questa radice della immortalità, continuano a far correre il veleno per tutto l'albero in guisa, che niuna parte risparmiano della cattolica verità, niuna che non cerchino di contaminare. Inoltre, nell'adoperare le loro mille arti per nuocere, niuno li supera di accortezza e di astuzia: giacché la fanno promiscuamente da razionalisti e da cattolici, e ciò con sì fina simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto; e poiché sono temerari quanto altri mai, non vi è conseguenza da cui rifuggano e che non ispaccino con animo franco ed imperterrito. Si aggiunga di più, e ciò è acconcissimo a confonderle menti, il menar che essi fanno una vita operosissima, un'assidua e forte applicazione ad ogni fatta di studi, e, il più sovente, la fama di una condotta austera. Finalmente, e questo spegne quasi ogni speranza di guarigione, dalle stesse loro dottrine sono formati al disprezzo di ogni autorità e di ogni freno; e, adagiatisi in una falsa coscienza, si persuadono che sia amore di verità ciò che è infatti superbia ed ostinazione. Sì, sperammo a dir vero di riuscire quando che fosse a richiamar costoro a più savi divisamenti; al qual fine li trattammo dapprima come figli con soavità, passammo poi ad un far severo, e finalmente, benché a malincuore, usammo pure i pubblici castighi. Ma voi sapete, o Venerabili Fratelli, come tutto riuscì indarno: sembrarono abbassai la fronte per un istante, mala rialzarono subito con maggiore alterigia. E potremmo forse tuttora dissimulare se non si trattasse che sol di loro: ma trattasi invece della sicurezza del nome cattolico. Fa dunque mestieri di uscir da un silenzio, che ormai sarebbe colpa, per far conoscere alla Chiesa tutta chi sieno infatti costoro che così mal si camuffano.

lunedì 9 novembre 2015

ESERCIZI SPIRITUALI

Sant'Ignazio prima della conversioneSant'Ignazio dopo la conversione

Esercizi Spirituali 
di Sant'Ignazio

“Cinque giorni… un'eternità”



Carissimi lettori;
Da lunedì 9 novembre 2015 ore 12.00 a sabato 14 novembre ore 13.00 ad Albano Laziale si terranno gli esercizi spirituali, vi prego di pregare per me,e per le mie amiche che si eserciteranno.  Come io pregherò per voi, e per la Santa Chiesa perchè possa ritornare a essere un Faro  di speranza in questo mondo ricoperto di tenebre ; Vi lascio questa splendida meditazione del venerato Mons. Lefebvre: l’Arcivescovo, che è stato forse il più grande missionario del XX secolo
Uno sguardo allʼindietro
Vorrei tratteggiare, se permettete, qualche episodio di cui sono stato testimone durante la mia esistenza, durante questo mezzo secolo, per ben mostrare l’importanza che la Messa della Chiesa cattolica ha nella nostra vita, nella vita di un sacerdote, in quella di un Vescovo e della Chiesa. Giovane seminarista a Santa Chiara, al Seminario francese di Roma, c’insegnavano l’amore per le cerimonie liturgiche. Ebbi, allora, il privilegio d’essere cerimoniere, (quello che chiamiamo il “primo cerimoniere”) preceduto, d’altra parte, in questa carica da mons. Lebrun, già Vescovo di Autun, e da mons. Ancel, tuttora Ausiliare di Lione. Ero, dunque, primo cerimoniere sotto la direzione del caro e reverendo padre Haegy, conosciuto per la sua competenza liturgica. Amavamo preparare l’altare e le cerimonie e, la vigilia dello svolgimento di un’importante cerimonia, era per noi una grande festa. Abbiamo così imparato, ancora giovane seminarista, ad amare l’altare [...]. Ordinato sacerdote nella cappella del Sacro Cuore di via Royale a Lille, il 21 settembre 1929 da mons. Liénart,partivo due anni dopo in missione per raggiungere mio fratello, che era già nel Gabon, e là incominciai ad imparare ciò che era la Messa. Certamente conoscevo, per gli studi fatti, questo grande mistero della nostra fede, ma non ne avevo compreso tutto il valore, l’efcacia e la profondità. Ciò lo vissi giorno per giorno, anno per anno, in Africa e particolarmente nel Gabon dove trascorsi tredici anni della mia vita missionaria, prima nel seminario, poi nella savana, in mezzo agli africani, tra gli indigeni. E là ho visto, sì ho visto ciò che poteva la grazia della santa Messa nelle anime sante di certi nostri catechisti. Quelle anime pagane, trasformate dalla grazia del battesimo, dall’assistenza alla Messa e dalla santa Eucaristia, comprendevano il mistero del Sacricio della Croce e s’univano a Nostro Signore Gesù Cristo; nella sofferenza della Sua Croce, offrivano i loro sacrici e i loro patimenti con Nostro Signore Gesù Cristo, vivendo cristianamente [...]. Ho potuto vedere villaggi di pagani divenuti cristiani trasformarsi non solo spiritualmente e sovrannaturalmente, ma anche fisicamente, socialmente, economicamente, politicamente; trasformarsi perché quelle persone, da pagane che erano, diventavano coscienti della necessità di compiere il loro dovere malgrado le prove ed i sacrici, di mantenere i loro impegni e particolarmente gli obblighi del matrimonio. Allora il villaggio si trasformava poco alla volta sotto l’in- uenza della grazia e del santo Sacri- cio della Messa; e tutti quei villaggi volevano avere la propria cappella e la visita del Padre. La visita del missionario! Come era attesa con impazienza per poter assistere alla santa Messa, potersi confessare e comunicare. Delle anime si consacravano a Dio; dei religiosi, delle religiose, dei sacerdoti si offrivano e si consacravano a Lui. Ecco i frutti della santa Messa.

domenica 8 novembre 2015

Quando fa comodo l’ermeneutica della rottura



di don Gabriele D'Avino

Il Sinodo sulla famiglia è terminato, le falsità dottrinali e storiche no. A volte, queste ultime servono alla causa dei novatori, e se ne fa abbondante uso per appoggiare posizioni del tutto insostenibili.

Per cui, quando serve invocare la continuità del “magistero” postconciliare con il vero Magistero di sempre, non si esita a distorcere il senso comune delle parole e a forzare i testi; altre volte, per appoggiare una evidente attuale innovazione, non si esita ad addurre fantomatici esempi di presunte “rotture” dottrinali già avvenute in epoca passata, in tempi diremmo “non sospetti”.

È il caso di un noto vaticanista che, pochi giorni fa, entusiasta della conclusione del Sinodo, scriveva un articolo, pubblicato su Vatican Insider per spiegare la portata del celebre paragrafo 85 della Relatio finale, quella sui sacramenti ai divorziati risposati.

Si legge infatti in questo articolo (evidentemente per giustificare la grave portata del problema che costituirebbe un’innovazione rivoluzionaria nella prassi ecclesiastica) che “in campo matrimoniale, in materia di insegnamenti sulla morale sessuale, sono avvenuti cambiamenti significativi. È Pio XII, negli anni Cinquanta, che, contro il parere del Sant'Uffizio, decide di aprire ai metodi naturali per la paternità responsabile, cioè la possibilità per gli sposi di distanziare le nascite dei figli attraverso il calcolo dei periodi fertili della donna e l'astinenza dai rapporti in quei periodi. L'immediato predecessore di Papa Pacelli, Pio XI, nell'enciclica «Casti connubii» (1930) vietava esplicitamente questa possibilità.”

Ora, ragionando serenamente: in primo luogo, è semplicemente falso che Pio XI vietasse esplicitamente la prassi della continenza periodica seguendo i periodi agenesici; infatti, se da un lato il Pontefice della Casti Connubii condannava alla luce della Dottrina Cristiana gli atti intrinsecamente cattivi relativi alla sessualità (parliamo di contraccezione e onanismo matrimoniale[1]), dall’altro invece ammette, sempre coerentemente con i princìpi generali della morale cristiana, l’uso corretto dell’atto coniugale anche se, non per industria umana, esso è infecondo: “Né si può dire che operino contro l’ordine di natura quei coniugi che usano del loro diritto nel modo debito e naturale, anche se per cause naturali, sia di tempo, sia di altre difettose circostanze, non ne possa nascere una nuova vita” (Casti Connubii, parte II). Pio XI non si dilunga, è vero, su tale aspetto, si limita soltanto ad accennarlo; ciò è dovuto forse – a nostro avviso, salvo meliori iudicio – ad una conoscenza non ancora precisa sull’attendibilità del calcolo della fecondità femminile. Studi seri in tal senso videro la luce attorno al 1923, dati più certi si ebbero all’inizio degli anni ’30: ora appunto l’enciclica in questione data del 1930…

In secondo luogo, la cosiddetta “apertura” di Pio XII a tali metodi (che riecheggia nient’altro che i soliti princìpi generali della morale applicati ad un caso concreto e per certi aspetti nuovo, data la novità dell’indagine scientifica in questo campo), tale apertura, dunque, è in realtà ben ristretta a casi precisi che non devono mettere in discussione la fecondità del matrimonio; papa Pacelli afferma senza esitare che “la liceità morale di una tale condotta dei coniugi [l’uso dei periodi agenesici, N.d.R.] sarebbe da affermare o da negare, secondo che l’intenzione di osservare costantemente quei tempi è basata, oppure no, su motivi morali sufficienti e sicuri”[2]. D’altra parte il Pontefice non esita a proporre, come soluzione alternativa alla impossibilità di una maternità in un caso concreto (per motivi sanitari o altro), la perfetta continenza, previo accordo tra i due coniugi, affermando decisamente che essa non è impossibile, con l’aiuto della grazia divina. Dunque, perfetta continuità nel Magistero tra Pio XI e XII.

Il nostro vaticanista continua, affermando un’altra presunta “rottura” tra la prassi ecclesiastica precedente, che negava la comunione ai divorziati risposati, e l’apertura di papa Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, dove (secondo lui) si dice che tali categorie di persone possono ricevere la comunione a patto di vivere come fratello e sorelle. Una specie di anticipazione alla conclusione del Sinodo insomma.

Ora, senza negare le molteplici pericolose dottrine contenute in detto testo di papa Wojtyla, va detto che le affermazioni in merito almeno a questa questione non sono da considerarsi una vera apertura, e basterebbe rileggerle (e citarle con precisione…). Eccole dunque:

“La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. […] La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi.”[3]

Si tratta qui della Confessione – la quale aprirebbe, si noti il condizionale, la strada alla comunione – e dunque di due problemi diversi. Il papa, è vero, omette di precisare in che condizioni si possa eventualmente accedere alla comunione.

Ecco, quindi, il Pontefice polacco citato a sproposito: la Familiaris consortio non parla se non indirettamente della comunione ai divorziati risposati; inoltre il criterio per ammettere questa categoria di persone all’assoluzione sacramentale, sebbene incompleto (non si parla sufficientemente della riparazione dello scandalo né dell’eventuale ingiustizia nei confronti del coniuge legittimo) riecheggia la dottrina tradizionale.

Nel Manuale di Teologia Morale di Prummer (T. 3 n°79), leggiamo che “il pubblico peccatore, benché autenticamente assolto dai suoi peccati, non può essere subito ammesso alla ricezionepubblica della comunione, senza aver prima riparato lo scandalo causato. […] Si potrà amministrare in maniera occulta la santa comunione ad ogni peccatore sinceramente pentito e autenticamente assolto”.

Per cui, in conclusione: l’ammissione alla confessione era già possibile per i divorziati risposati (pubblici peccatori) i quali promettessero seriamente di evitare l’occasione prossima di peccato, facendo, ad esempio, camere separate, quando delle gravi ragioni impedivano la separazione. In questo, Giovanni Paolo II non dice niente in più di Prummer e i moralisti pre-conciliari.

Quanto alla comunione, invece, nell’esortazione di Giovanni Paolo II vi si accenna timidamente (è il senso del condizionale usato nel testo citato) come ad una eventualità su cui peraltro non ci si sofferma. Nei vecchi manuali, si insiste invece sul carattere di pubblico peccatore per una persona convivente more uxorio con un suo simile; quindi, anche se fosse ben disposta e allontanasse per quanto possibile l’occasione di peccato, l’accesso alla comunione resterebbe comunque limitato in ragione del pubblico scandalo.

La “pastorale per i divorziati risposati”, come si vede, non è un’invenzione così moderna: basta applicare i soliti, noti prìncipi della morale, come facevano i manuali degli anni ’50.

Le precisazioni fin qui fatte non sono che un aspetto marginale all’attualissima questione del Sinodo, che già, come vediamo dai media, si presta a differenti interpretazioni; indice, questo, della solita vecchia ambiguità del linguaggio tipicamente modernista che dice e non dice.

Ci sembrava tuttavia di qualche importanza segnalare che non sfugge a tutti il tentativo da parte di giornalisti “di regime” di chiamare in causa o i pontefici preconciliari (come Pio XI e Pio XII) per cercare di trascinarli nel marasma di una falsa dottrina, citandoli male e a sproposito; oppure quelli conciliari (come Giovanni Paolo II) per usarli faziosamente (pur quando, stranamente, si riesce a salvare qualche loro affermazione) a loro vantaggio.

[1] “Senonché, non vi può esser ragione alcuna, sia pur gravissima, che valga a rendere conforme a natura ed onesto ciò che è intrinsecamente contro natura. E poiché l’atto del coniugio è, di sua propria natura, diretto alla generazione della prole, coloro che nell’usarne lo rendono studiosamente incapace di questo effetto, operano contro natura, e compiono un’azione turpe e intrinsecamente disonesta.” , Casti Connubii, parte II. Più sotto vi si legge: “la Chiesa Cattolica […] nuovamente sentenzia che qualsivoglia uso del matrimonio, in cui per la umana malizia l’atto sia destituito della sua naturale virtù procreatrice, va contro la legge di Dio e della natura, e che coloro che osino commettere tali azioni, si rendono rei di colpa grave”.

[2] Pio XII, Discorso alle partecipant ial Congresso della Unione Cattolica Italiana delle Ostetriche, 29 ottobre 1951), parte III.

[3] Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, § 84.
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