Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

mercoledì 18 novembre 2015

AETERNI PATRIS LETTERA ENCICLICA DI SUA SANTITÀ LEONE PP. XIII





A tutti i Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi 
del mondo cattolico che hanno grazia e comunione con la Sede Apostolica.

Venerabili Fratelli, 
salute e Apostolica Benedizione.

Il Figlio Unigenito dell’Eterno Padre, che apparve in terra a portare salute e luce di divina sapienza al genere umano, recò al mondo un beneficio grande e stupendo quando, sul punto di risalire al cielo, ordinò agli Apostoli che "andando ammaestrassero tutte le genti" (Mt 28,19), e lasciò la Chiesa, da Lui stesso fondata, maestra universale e suprema dei popoli. Infatti gli uomini, che furono salvi in forza della verità, attraverso la verità si dovevano conservare; né sarebbero durati a lungo i frutti delle dottrine celesti, donde derivò all’uomo la salute, se Cristo Signore non avesse stabilito un indefettibile magistero per erudire le menti nella fede. La Chiesa poi, confortata dalle promesse ed ispirandosi alla carità del suo divino Autore, rispose così fedelmente al mandato, che questo sempre ebbe in mira, questo volle soprattutto: ammaestrare nella religione e combattere senza tregua l’errore. Qua si rapportano le vigili fatiche dei singoli Vescovi, qua le leggi e i decreti dei Concili, e soprattutto la quotidiana sollecitudine dei Romani Pontefici, i quali, come successori del Beato Pietro Principe degli Apostoli nel primato, hanno il diritto ed il dovere di ammaestrare i fratelli e di consolidarli nella fede. E poiché, come ammonisce l’Apostolo, è facile che "tramite la filosofia e la vana fallacia" (Col 2,18) le menti dei fedeli siano tratte in inganno e che si corrompa in essi la purezza della fede, perciò i Pastori supremi della Chiesa ritennero sempre loro dovere far progredire con tutti i mezzi anche la vera scienza, e nel tempo stesso provvedere con particolare vigilanza che secondo la norma della fede cattolica fossero dovunque insegnate tutte le umane discipline, ma specialmente la filosofia, da cui dipende in gran parte la diretta ragione di tutte le altre scienze. Noi pure, fra le altre cose, abbiamo brevemente segnalato ciò, Venerabili Fratelli, quando a Voi tutti rivolgemmo la parola con la prima Lettera enciclica; ma ora l’importanza della materia e la condizione dei tempi Ci spingono a trattare nuovamente con Voi del modo di condurre gli studi di filosofia: esso deve corrispondere convenientemente al bene della fede ed alla stessa dignità delle scienze umane.

Se qualcuno medita sull’acerbità dei nostri tempi e comprende bene la ragione di ciò che in pubblico e in privato si va operando, scoprirà certamente che la vera causa dei mali che ci affliggono e di quelli che ci sovrastano è riposta nelle prave dottrine, che intorno alle cose divine ed umane uscirono dapprima dalle scuole dei filosofi, e si insinuarono poi in tutti gli ordini della società, accolte con il generale consenso di moltissimi. Infatti, essendo insito da natura nell’uomo che egli nell’operare segua la ragione, se l’intelletto pecca in qualche cosa, facilmente fallisce anche la volontà; così accade che le erronee opinioni, le quali hanno sede nell’intelletto, influiscano nelle azioni umane e le pervertano. Al contrario, se la mente degli uomini sarà sana e poggerà sopra solidi e veri principi, allora frutterà sicuramente larga copia di benefici a vantaggio pubblico e privato.

Noi certamente non attribuiamo alla filosofia umana tanta forza e tanta autorità fino a stimare che essa sia in grado di tenere lontani e sterminare tutti gli errori; infatti come, quando fu da principio stabilita la religione cristiana, toccò in sorte al mondo di essere ridonato alla primitiva dignità per l’ammirabile lume della fede, diffuso "non con le parole persuasive della umana sapienza, ma con la dimostrazione dello spirito e delle virtù" (1Cor 2,4), così anche al presente si deve aspettare innanzi tutto dall’onnipotente virtù e dall’aiuto divino che le menti dei mortali, sgombrate le tenebre degli errori, rinsaviscano. Ma non sono da disprezzare, né da trascurare gli aiuti naturali benignamente somministrati all’uomo dalla divina sapienza, la quale con efficacia e soavità dispone di tutte le cose: fra tali aiuti è certamente principale il retto uso della filosofia. Infatti non inutilmente Iddio accese nella mente umana il lume della ragione; ed e così lungi dal vero che la luce della fede aggiunta alla ragione ne spenga la virtù o l’affievolisca, ché anzi la perfeziona, accresciutane la vigorìa, la rende adatta a cose più alte. Dunque l’ordine della stessa Provvidenza divina richiede che, per ricondurre i popoli alla fede ed alla salute, si domandi aiuto anche alla scienza umana; tale soluzione, prudente e saggia, fu usata frequentemente dai più illustri Padri della Chiesa, come attestano le memorie dell’antichità. Essi infatti furono soliti dare alla ragione molte ed importantissime parti, compendiate in brevissime parole dal grande Agostino, "il quale attribuisce a questa scienza... ciò per cui la fede salutare... ha principio, nutrimento, forza e difesa".

Innanzi tutto la filosofia: se dai sapienti viene usata rettamente, serve in certo qual modo a spianare ed a rafforzare la via alla vera fede, e ad apparecchiare convenientemente gli animi dei suoi discepoli a ricevere la rivelazione; onde, non senza ragione, fu detta dagli antichi, ora "istituzione preparatoria alla fede cristiana", ora "preludio ed aiuto del cristianesimo", ora, "guida al Vangelo".

Certamente il benignissimo Iddio, in ciò che appartiene alle cose divine, col lume della fede non manifestò solamente quelle verità alle quali l’intelligenza umana è incapace di giungere, ma ne manifestò pure alcune altre non del tutto impenetrabili dalla ragione, affinché per l’autorità divina subito e senza commistione di errore fossero a tutti palesi. Quindi alcune verità, o divinamente rivelate o strettamente connesse con l’insegnamento della fede, furono conosciute, con la scorta della ragione naturale, anche dai filosofi pagani e dai medesimi con argomenti propri dimostrati e difesi. "Giacché, come dice l’Apostolo, le perfezioni invisibili di Lui fin dalla creazione del mondo, comprendendosi dalle cose fatte, si rendono visibili, e così anche la Sua eterna potenza e divinità" (Rm 1,20); e "le genti che non hanno legge mostrano, ciononostante, che il bisogno della legge è scritto nei loro cuori" (Rm 2,14-15). Or dunque è assai opportuno rivolgere a bene e a vantaggio della rivelazione queste verità conosciute dagli stessi filosofi pagani, allo scopo di mostrare concretamente che anche l’umana sapienza e gli stessi avversari rendono favorevole testimonianza alla fede cristiana. Consta che tale comportamento non è stato introdotto recentemente, ma è antico e usato spesso dai Santi Padri della Chiesa. Anzi, questi venerabili testimoni e custodi delle tradizioni religiose riconoscono una certa similitudine e quasi una figura di ciò nel fatto degli Ebrei, ai quali, in partenza dall’Egitto, fu comandato di portare con sé i vasi d’argento e d’oro degli Egiziani nonché le vesti preziose, affinché, mutatone subito l’uso, fosse dedicato al culto del vero Dio ciò che prima era servito a riti d’ignominia e di superstizione. Gregorio di Neocesarea loda Origene per avere con singolare abilità rivolto in difesa della sapienza cristiana e a danno della superstizione molti detti ingegnosamente distaccati dai precetti dei pagani, a guisa di saette strappate di mano al nemico. Ed un simile modo di disputare Gregorio Nazianzeno e Gregorio Nisseno lodano ed approvano in Basilio Magno; e Girolamo sommamente l’esalta in Quadrato, discepolo degli Apostoli, in Aristide, in Giustino, in Ireneo ed in molti altri . Agostino poi: "Non vediamo noi, dice, con quanto oro e con quanto argento, ricco di vesti, sia uscito dall’Egitto il dottore soavissimo e beatissimo martire Cipriano? Con quanto Lattanzio? Con quanto Vittorino, Ottato, Ilario? e per tacere dei vivi, con quanto innumerevoli Greci?" . Se la ragione naturale diede questa ricca messe di dottrina prima che essa fosse fecondata dalla virtù di Cristo, molto più abbondante certamente ne produrrà da quando la grazia del Salvatore ristorò e aumentò le sue forze native. E chi non vede come con siffatto modo di filosofare si apre una via piana e facile alla fede?

Ma non è circoscritta entro questi limiti l’utilità che ne deriva. Invero la divina sapienza gravemente censura la stoltezza di coloro i quali "dalle cose buone che si vedono non sono giunti a conoscere Colui che è; né dalla considerazione delle opere conobbero chi ne era l’artefice" (Sap 13,1). Dunque questo grande e preclaro frutto si coglie in primo luogo dalla umana ragione, perché essa ci dimostra esservi un Dio: "infatti, dalla grandezza e dalla bellezza della creatura, si potrà intuire il loro Creatore" (Sap 13,5). Inoltre la ragione dimostra che Dio è singolarmente eccellente per il cumulo di tutte le perfezioni: innanzi tutto per la sapienza infinita, alla quale nulla può essere nascosto, e per la somma giustizia inaccessibile a qualsiasi perversità; perciò Iddio non solamente è verace, ma è la stessa verità, incapace sia di cadere, sia di trarre in inganno. Dal che manifestamente consegue che la ragione umana fornisce pienissima fede ed autorità alla parola di Dio. Parimenti la ragione dichiara che la dottrina evangelica, fin dalla sua prima origine, sfolgorò per mirabili segni, per argomenti infallibili di sicura verità, e che quanti credono al Vangelo non vi credono imprudentemente, quasi fossero seguaci di dotte favole (cf. 2Pt 1,16), ma con ossequio del tutto ragionevole assoggettano l’intelletto e il loro giudizio alla divina autorità. Né si deve stimare da meno che la ragione metta in luce come la Chiesa fondata da Cristo (secondo quanto stabilì il Concilio Vaticano) "per la sua ammirabile diffusione, per la sua esimia santità ed inesausta fecondità in tutti i beni, per la sua cattolica unità ed invitta stabilità, è un grande e perenne motivo di credibilità e testimonio irrefragabile della sua missione divina":

Posti in questo modo i saldissimi fondamenti, si chiede ancora un continuo e molteplice uso della filosofia, affinché la sacra Teologia assuma e vesta natura, forma e carattere di vera scienza. Infatti in questa disciplina, la più nobile fra tutte, è sommamente necessario che le molte e diverse parti delle dottrine celesti si colleghino come in un sol corpo, affinché messe ordinatamente al loro posto e derivate ciascuna dai propri principi, stiano fra loro in idonea armonia; ed infine, tutte e singole, siano confermate con propri ed invincibili argomenti.

Non sono poi da passare sotto silenzio, né da stimare di poco conto, la conoscenza più accurata e più ampia delle cose che si credono, e la comprensione un po’ più limpida, per quanto è possibile, degli stessi misteri della fede, che Agostino e gli altri Padri hanno lodata e si sono studiati di conseguire, e che lo stesso Concilio Vaticano ha giudicata fruttuosissima. A tale conoscenza e a tale comprensione senza dubbio più largamente e più facilmente giungono coloro che all’integrità della vita e all’amore ardente della fede congiungono una mente erudita nelle scienze filosofiche; tanto più che, secondo gl’insegnamenti dello stesso Concilio Vaticano, la comprensione di questi dogmi deve essere ricavata "sia dall’analogia delle cose che naturalmente si conoscono, sia dal nesso degli stessi misteri tra loro e coll’ultimo fine dell’uomo".

Infine, alla filosofia compete difendere con ogni diligenza le divine verità rivelate, e opporsi a coloro che ardiscono contrastarle. Pertanto torna a gran vanto della filosofia essere considerata baluardo della fede e sicuro bastione della religione. "La dottrina del Salvatore, come attesta Clemente Alessandrino, è certamente perfetta in sé, e non è bisognosa di alcun aiuto essendo virtù e sapienza di Dio. La filosofia greca, unendosi ad essa, non rende più potente la verità, ma indebolisce le argomentazioni dei sofisti contro di lei e respinge le ingannevoli insidie tese contro la verità: pertanto fu detta siepe della vigna e trincea nel bisogno" . Per la verità, come i nemici del nome cattolico, volendo combattere la religione, il più delle volte prendono dalla filosofia gli strumenti della loro guerra, così i difensori della sacra dottrina traggono dal seno della filosofia molte cose a difesa delle verità rivelate. Né è da ritenere piccolo trionfo per la fede cristiana che le armi nemiche, industriosamente trovate dall’umana ragione per nuocerle, siano dalla stessa ragione respinte con efficacia e agevolmente. Tale forma di combattimento religioso, usata dallo stesso Apostolo delle genti, viene ricordata da San Girolamo nella lettera a Magno: "Paolo, duce dell’esercito cristiano ed oratore invitto, trattando la causa di Cristo rivolta con arte in argomento della fede anche una casuale epigrafe, giacché aveva imparato dal vero Davide a strappare dalle mani dei nemici la spada ed a troncare il capo del superbissimo Golia col suo stesso ferro" . La stessa Chiesa non solamente consiglia che i maestri cattolici piglino dalla filosofia codesto aiuto, ma lo ordina apertamente. Infatti il Concilio Lateranense V, dopo avere definito "essere del tutto falsa ogni asserzione contraria alla verità della fede illuminata, perché il vero non può contraddire al vero", ingiunge ai dottori in filosofia di esercitarsi diligentemente nel confutare i fallaci argomenti, essendo certo, come attesta Agostino, che "se la ragione che si porta è contro l’autorità della divina Scrittura, per guanto sia acuta, essa inganna sotto apparenza di verità, perché è impossibile che sia vera" .

Ma, affinché la filosofia sia capace di portare questi frutti preziosi che abbiamo rammentato, è del tutto necessario che non esca mai dalla via già presa dai venerandi Padri dell’antichità, e approvata dal Concilio Vaticano col suo solenne ed autorevole suffragio. Invero, essendo del tutto manifesto che si devono ammettere molte verità di ordine soprannaturale che vincono di molto l’acutezza di qualsiasi ingegno, la ragione, conscia della propria debolezza, non ardisca aspirare a cose superiori a sé, né osi negare le stesse verità, né misurarle con la propria forza, né interpretarle a capriccio; ma piuttosto le accolga con umile e totale fede, ed abbia in conto di sommo onore che le sia permesso di servire alle dottrine celesti quale ancella e seguace, e di conseguirne per divino favore in qualche modo la conoscenza.

Quanto poi a quei capitoli di dottrina che l’intelligenza umana può naturalmente comprendere, è giustissimo che la filosofia usi per essi il proprio metodo, i propri principi e i propri argomenti: non tanto, però, che sembri volersi audacemente sottrarre alla divina autorità. Anzi, essendo fuor di ogni dubbio che le cose manifestate dalla rivelazione sono infallibilmente vere, e che quelle le quali contraddicono alla fede si oppongono parimenti alla retta ragione, il filosofo cattolico sappia che farebbe ingiuria alla fede, e contemporaneamente alla ragione, se abbracciasse una conclusione riconosciuta contraria alla dottrina rivelata.

Sappiamo con certezza che non mancano coloro che, magnificando oltremodo le facoltà della natura umana, sostengono che l’intelligenza dell’uomo, tosto che si sottomette all’autorità divina, decade dalla sua naturale dignità e, come declassata sotto il giogo della servitù, viene ritardata ed impedita nel suo cammino di avvicinamento verso il sommo della verità e della grandezza. Ma queste asserzioni sono piene di errore e d’inganno; ed infine mirano a questo, che gli uomini per colmo di stoltezza e non senza colpa d’ingratitudine rifiutino le verità più sublimi e rigettino spontaneamente il divino beneficio della fede, dalla quale sgorgarono a vantaggio della società le sorgenti di tutti i beni. Infatti, essendo la mente umana rinchiusa entro determinati, piuttosto angusti confini, essa va molto soggetta all’ignoranza e all’errore. Al contrario, la fede cristiana, appoggiandosi sull’autorità di Dio, è maestra sicurissima di verità; nessuno, seguendola, viene preso ai lacci dell’errore, né sbattuto dai flutti d’incerte opinioni. Per la qual cosa coloro che congiungono lo studio della filosofia con l’ossequio della fede cristiana sono ottimi filosofi, poiché del lume delle verità divine, accolto nell’animo, si avvantaggia la stessa intelligenza alla quale – in forza di esso – non solo nulla si toglie di dignità, ma moltissimo anzi si aggiunge di nobiltà, di certezza, di acume. E quando essi, nel confutare le opinioni che sono contrarie alla fede e nel provare quelle che si accordano con la medesima, adoperano la forza del loro ingegno, fanno degno ed utile uso della ragione: infatti nelle prime ravvisano le cause degli errori e conoscono il vizio degli argomenti su cui si fondano, e nelle seconde giungono a trovare convincenti ragioni per solidamente dimostrarle e argomentarle presso ogni saggio. Ora, chi negasse che tale attività ed esercizio accrescono le ricchezze della mente e ne sviluppano le forze, dovrebbe anche sostenere l’assurdo che nulla giovi all’ingegno il saper discernere il vero dal falso. A buon diritto pertanto il Concilio Vaticano ricorda con le seguenti parole gl’insigni benefìci procurati alla ragione dalla fede: "La fede libera e preserva la ragione dagli errori, e l’arricchisce di molte cognizioni". Perciò l’uomo, se avesse senno, non dovrebbe accusare la fede come nemica della ragione e delle verità naturali, ma piuttosto con letizia dovrebbe essere grato e rendere degne grazie a Dio, perché tra le molte cause d’ignoranza e in mezzo ai flutti degli errori, gli rifulse la santissima fede la quale, quasi amica stella, con ogni sicurezza gli addita il porto della verità.

Se, Venerabili Fratelli, volgete lo sguardo alla storia della filosofia, vedrete che quanto abbiamo detto è confermato dai fatti. Fra i filosofi antichi che non ebbero il beneficio della fede, anche quelli che erano ritenuti i più sapienti in molte cose errarono pessimamente. Infatti Voi ben sapete quanto spesso abbiano mescolato ad alcune verità opinioni false ed assurde, dubbie ed incerte intorno alla natura divina e alla prima origine delle cose; intorno al governo del mondo e alla conoscenza che Dio ha del futuro; intorno al principio e alla causa dei mali; intorno al fine ultimo dell’uomo e all’eterna beatitudine; intorno alle virtù ed ai vizi, e ad altre dottrine, della vera e sicura conoscenza delle quali non vi è cosa più necessaria per l’uomo.

Per contro, i primi Padri e Dottori della Chiesa, i quali avevano ben compreso che per divino consiglio il vero restauratore anche della scienza umana è Cristo, il quale è virtù e sapienza di Dio (1Cor 1,24), e "nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3), si diedero a studiare profondamente i libri degli antichi filosofi ed a paragonare le loro tesi con le dottrine rivelate, e, sceverandole prudentemente, accettarono quelle che erano dette secondo verità e pensate saggiamente, correggendo o rifiutando tutte le altre.

Giacché il provvidentissimo Iddio, come contro la crudeltà dei tiranni suscitò a difesa della Chiesa fortissimi martiri prodighi della loro grande anima, così ai falsi filosofi ed agli eretici oppose uomini sommi per sapienza, affinché difendessero il tesoro delle verità rivelate anche con l’aiuto dell’umana ragione. Dunque, fino dai primordi della Chiesa la dottrina cattolica ebbe contro di sé fierissimi avversari i quali, dileggiando i dogmi e i costumi dei cristiani, affermavano che esistevano più dei, che la materia del mondo non aveva avuto né principio né causa, e che il corso delle cose era condotto da una forza cieca e da una fatale necessità, non governato dal consiglio della divina provvidenza. In verità contro i maestri di queste pazze dottrine combatterono prontamente quei savi che chiamiamo Apologisti, i quali, con la scorta della fede, utilizzarono pure dall’umana sapienza le prove per dimostrare che si deve ammettere ed onorare un solo Dio, eminentissimo in ogni genere di perfezioni: tutte le cose per la sua onnipotenza sono tratte dal nulla; per la sua sapienza hanno vigore e sono mosse e dirette ai propri fini.

Fra essi tiene il primo posto San Giustino martire il quale, dopo avere visitato le più celebri Accademie dei Greci, al fine di valutarle, e dopo avere conosciuto, come egli stesso confessa, che la verità si può ottenere con sicurezza solamente dalle dottrine rivelate, abbracciò queste con tutto l’ardore dell’animo, le purgò dalle calunnie, le difese con forza e con eloquenza presso gli Imperatori Romani, e non poche dichiarazioni dei filosofi greci mise d’accordo con quelle. Il che fecero pure ottimamente nel medesimo tempo Quadrato, Aristide, Ermia ed Atenagora.

Né si acquistò minor gloria nella stessa causa l’invitto martire e Pontefice della Chiesa di Lione Sant’Ireneo, il quale strenuamente confutando le opinioni perverse degli orientali, disseminate nell’Impero Romano per opera degli Gnostici, "spiegò, secondo la testimonianza di Girolamo, le origini delle singole eresie e da quali fonti scaturirono" . Nessuno poi ignora le dispute di Clemente di Alessandria, rammentate a grande onore dallo stesso Girolamo in questi termini: "Che vi è in esse di scritto non dottamente? che vi è non tratto dal seno della filosofia?". Con incredibile varietà egli ragionò di molte cose, tutte utilissime per redigere la storia della filosofia, per esercitare rettamente la dialettica, e per procurare la concordia della ragione con la fede. Origene, famoso per il magistero tenuto nella scuola Alessandrina, eruditissimo nelle dottrine dei greci e degli orientali, seguì le sue orme pubblicando moltissimi volumi, tutti di grande studio, mirabilmente opportuni nel commentare le sacre Scritture e nell’illustrare i sacri dogmi. Benché non siano affatto privi di errori, almeno come ora si leggono, pure contengono grande quantità di sentenze che vanno ad accrescere il numero e la certezza delle verità naturali. Tertulliano combatte contro gli eretici con l’autorità delle sacre Lettere; contro i filosofi, mutato il genere delle armi, con la filosofia; e li confuta con tanta acutezza d’ingegno e con tanta erudizione da potere, con tutta fiducia, dir loro pubblicamente: "Né quanto alla dottrina, né quanto all’insegnamento, come voi credete, ci siete eguali". Anche Arnobio, con i libri pubblicati contro i gentili, e Lattanzio, specialmente con le sue divine Istituzioni, valorosamente si studiano, con pari eloquenza e forza, d’insegnare agli uomini i dogmi e i precetti della sapienza cattolica, non rovesciando la filosofia, come sogliono fare gli Accademici , ma confutando gli avversari, in parte con le proprie armi e in parte con quelle tolte dai dissensi sorti fra loro.

Le cose poi che il grande Atanasio e Crisostomo, principe degli oratori, ci lasciarono scritte sull’anima umana, sui divini attributi, e intorno ad altre importantissime questioni, sono, per unanime giudizio, così eccellenti, che sembra nulla potersi aggiungere alla sottigliezza e alla copiosità di quei testi. E quantunque non vogliamo eccedere nell’annoverarli tutti ad uno ad uno, al numero di quei sommi, dei quali si è fatta menzione, aggiungiamo il grande Basilio, e l’uno e l’altro Gregorio, i quali, essendo usciti da Atene, sede di ogni cultura umanistica, abbondantemente forniti di ogni strumento filosofico, utilizzarono a confutazione degli eretici e ad ammaestramento dei fedeli la dovizia di quella dottrina che con ardente studio si erano procurata. Ma parve che a tutti togliesse la palma Agostino il quale, dotato di robustissimo ingegno e sommamente preparato nelle discipline sacre e profane, gagliardamente combatté tutti gli errori dell’età sua con somma fede e con eguale dottrina. Qual punto di filosofia non ha egli toccato? Anzi, quale non approfondì con somma diligenza, o quando spiegava ai fedeli i misteri altissimi della fede e li difendeva contro gli stolti assalti degli avversari, o quando, annientate le follie degli Accademici e dei Manichei, metteva in salvo i fondamenti e la solidità della scienza umana, o quando andava ricercando la ragione, l’origine o le cause di quei mali onde gli uomini sono travagliati? Quanto ampiamente e con quanta sottigliezza egli non disputò intorno agli Angeli, all’anima e alla mente umana, intorno alla volontà e al libero arbitrio, intorno alla religione e alla vita beata, al tempo e all’eternità, e, infine intorno alla stessa natura dei corpi mutabili? Dopo questo tempo, Giovanni Damasceno in Oriente, messosi sulla via di Basilio e di Gregorio Nazianzeno, e Boezio ed Anselmo in Occidente, calcando le orme di Agostino, arricchirono moltissimo il patrimonio della filosofia.

Poscia i Dottori del medio evo, che vanno sotto il nome di Scolastici, intrapresero un’opera di grande rilievo, vale a dire raccogliere con diligenza la feconda ed ubertosa messe di dottrina sparsa nei moltissimi volumi dei Santi Padri e, dopo averla raccolta, riporla come in un sol luogo, ad uso e vantaggio dei posteri. Ma quali siano l’origine, l’indole e l’eccellenza della Scolastica, vogliamo, Venerabili Fratelli, qui dichiararlo più diffusamente con le parole del sapientissimo Nostro Predecessore Sisto V: "Per dono divino di Colui il quale, solo, dà lo spirito della scienza e della sapienza, e il quale nel corso dei secoli ricolma di nuovi benefici la sua Chiesa secondo il bisogno, e la munisce di nuovi presidi, fu trovata dai nostri maggiori, savissimi uomini, la Teologia scolastica, che in modo particolare i due gloriosi Dottori l’angelico San Tommaso ed il serafico San Bonaventura, professori chiarissimi di questa facoltà... coltivarono ed illustrarono con eccellente ingegno, con assiduo studio, con grandi fatiche e con lunghe veglie e la lasciarono ai posteri ottimamente ordinata ed in molti e chiarissimi modi esplicata. Per certo la cognizione e l’esercizio di una scienza così salutare, che deriva dalle abbondantissime fonti delle divine Lettere, dei Sommi Pontefici, dei Santi Padri e dei Concili, poterono senza dubbio apportare sempre alla Chiesa grandissimo aiuto, sia per intendere ed interpretare, secondo il loro vero e schietto senso, le stesse Scritture, sia per leggere e spiegare con maggiore sicurezza e con maggiore utilità i Padri; sia per scoprire e confutare i vari errori e le eresie. In questi ultimi tempi, in cui sono giunti quei giorni pericolosi descritti dall’Apostolo, ed uomini blasfemi, superbi e seduttori procedono di male in peggio, errando essi stessi e traendo gli altri nell’errore, essa certamente è oltremodo necessaria per confermare i dogmi della fede cattolica e per ribattere le eresie" . Tali parole, benché sembrino riferirsi soltanto alla Teologia scolastica, nondimeno vanno chiaramente intese come dette anche per la Filosofia e per le sue doti. Giacché quelle chiare doti che rendono la Teologia scolastica tanto terribile per i nemici della verità "vale a dire, come aggiunge lo stesso Pontefice, quella concatenazione delle cose e delle loro cause tra sé, quell’ordine e quella disposizione come di soldati schierati a battaglia, quelle limpide definizioni e distinzioni, quella sodezza di argomenti e quelle sottilissime dispute per le quali la luce è separata dalle tenebre e il vero dal falso, e le menzogne degli eretici, avviluppate da molti inganni ed intrighi, come se fosse loro strappata di dosso la veste, sono rese manifeste e messe a nudo" , codeste preclare e mirabili doti, diciamo, si debbono attribuire al retto uso di quella filosofia, della quale i maestri scolastici si avvalsero assai frequentemente di proposito e con savio intendimento anche nelle dispute di Teologia. Oltre a ciò, essendo una singolarità tutta propria dei Teologi scolastici l’avere congiunto tra loro con strettissimo nodo la scienza umana e la divina, di certo la Teologia, in cui essi furono eccellenti, non si sarebbe acquistata nell’opinione degli uomini tanto onore e tanta lode, se avessero usato una filosofia monca, imperfetta o leggera.

Per la verità, sopra tutti i Dottori Scolastici, emerge come duce e maestro San Tommaso d’Aquino, il quale, come avverte il cardinale Gaetano, "perché tenne in somma venerazione gli antichi sacri dottori, per questo ebbe in sorte, in certo qual modo, l’intelligenza di tutti" . Le loro dottrine, come membra dello stesso corpo sparse qua e là, raccolse Tommaso e ne compose un tutto; le dispose con ordine meraviglioso, e le accrebbe con grandi aggiunte, così da meritare di essere stimato singolare presidio ed onore della Chiesa Cattolica. Egli, d’ingegno docile ed acuto, di memoria facile e tenace, di vita integerrima, amante unicamente della verità, ricchissimo della divina e della umana scienza a guisa di sole riscaldò il mondo con il calore delle sue virtù, e lo riempì dello splendore della sua dottrina. Non esiste settore della filosofia che egli non abbia acutamente e solidamente trattato, perché egli disputò delle leggi della dialettica, di Dio e delle sostanze incorporee, dell’uomo e delle altre cose sensibili, degli atti umani e dei loro principi, in modo che in lui non rimane da desiderare né una copiosa messe di questioni, né un conveniente ordinamento di parti, né un metodo eccellente di procedere, né una fermezza di principi o una forza di argomenti, né una limpidezza o proprietà del dire, né facilità di spiegare qualunque più astrusa materia.

A questo si aggiunge ancora che l’angelico Dottore speculò le conclusioni filosofiche nelle intime ragioni delle cose e nei principi universalissimi, che nel loro seno racchiudono i semi di verità pressoché infinite, e che a tempo opportuno sarebbero poi stati fatti germogliare con abbondantissimo frutto dai successivi maestri. Avendo adoperato tale modo di filosofare anche nel confutare gli errori, egli ottenne così di avere debellato da solo tutti gli errori dei tempi passati e di avere fornito potentissime armi per mettere in rotta coloro che con perpetuo avvicendarsi sarebbero sorti dopo di lui. Inoltre egli distinse accuratamente, come si conviene, la ragione dalla fede; ma stringendo l’una e l’altra in amichevole consorzio, di ambedue conservò interi i diritti, e intatta la dignità, in modo che la ragione, portata al sommo della sua grandezza sulle ali di San Tommaso, quasi dispera di salire più alto; e la fede difficilmente può ripromettersi dalla ragione aiuti maggiori e più potenti di quelli che ormai ha ottenuto grazie a San Tommaso.

Per queste ragioni, specialmente nelle passate età, uomini dottissimi e celebratissimi per dottrina teologica e filosofica, ricercati con somma cura gl’immortali volumi di Tommaso, si diedero tutti all’angelica sapienza di lui, non tanto per averne ornamento e cultura, quanto per esserne sostanzialmente nutriti. È cosa nota che quasi tutti i fondatori e i legislatori degli Ordini religiosi hanno ingiunto ai loro seguaci di studiare le dottrine di San Tommaso, e di attenersi ad esse con la maggiore fedeltà, provvedendo che a nessuno sia lecito impunemente dipartirsi anche di poco dalle orme di tanto Dottore. Per non dire dell’Ordine domenicano, il quale come per suo proprio diritto si onora di questo sommo maestro, sono tenuti da tale legge anche i Benedettini, i Carmelitani, gli Agostiniani, la Compagnia di Gesù e parecchi altri, come attestano i loro specifici statuti.

E qui con grande diletto il pensiero corre a quelle celebratissime Accademie e Scuole che un tempo fiorirono in Europa, quelle, cioè, di Parigi, di Salamanca, di Alcalà, di Douai, di Tolosa, di Lovanio, di Padova, di Bologna, di Napoli, di Coimbra, e moltissime altre. Nessuno ignora che il nome di tali Accademie è venuto crescendo in qualche modo con il tempo, e che negli affari di maggior momento i loro responsi ebbero presso tutti grandissimo peso. Ora non è men certo che in quelle grandi sedi dell’umano sapere, Tommaso aveva un posto come il principe nel proprio regno, e che gli animi di tutti, vuoi maestri, vuoi discepoli, si ritrovavano pienamente , con meraviglioso accordo, nel magistero e nell’autorità del solo Aquinate.

Ma, quel che più conta, i Romani Pontefici Nostri Predecessori esaltarono con singolari manifestazioni di lodi e con amplissime testimonianze la sapienza di Tommaso d’Aquino. Infatti Clemente VI , Nicolò V , Benedetto XIII ed altri attestano che tutta la Chiesa viene illustrata dalle sue meravigliose dottrine; San Pio V poi confessa che mercé la stessa dottrina le eresie, vinte e confuse, si disperdono come nebbia, e che tutto il mondo si salva ogni giorno per merito suo dalla peste degli errori. Altri, con Clemente XII , affermano che dagli scritti di lui sono pervenuti a tutta la Chiesa copiosissimi beni, e che a lui è dovuto quello stesso onore che si rende ai sommi Dottori della Chiesa Gregorio, Ambrogio, Agostino e Girolamo. Altri, infine, non dubitarono di proporlo alle Accademie e ai grandi Licei quale esempio e maestro da seguire a piè sicuro. A conferma di questo Ci sembrano degnissime di essere ricordate le seguenti parole del Beato Urbano V all’Accademia di Tolosa: "Vogliamo, e in forza delle presenti vi imponiamo, che seguiate la dottrina del Beato Tommaso come veridica e cattolica, e che vi studiate con tutte le forze di ampliarla" . Successivamente Innocenzo XII , nella Università di Lovanio, e Benedetto XIV , nel Collegio Dionisiano presso Granata, rinnovarono l’esempio di Urbano.

Ma a questi giudizi dei Sommi Pontefici su Tommaso d’Aquino mette come una corona la testimonianza d’Innocenzo VI: "La dottrina di questo (di Tommaso) possiede sopra tutte le altre, eccettuata la canonica, la proprietà delle parole, la forma del dire, la verità delle sentenze; così che non è mai capitato che abbiano deviato dalla verità quelli che l’hanno professata, e sempre sono stati sospetti circa la verità quelli che l’hanno impugnata" .

Gli stessi Concili Ecumenici, nei quali risplende il fiore della sapienza raccoltovi da tutto l’universo, si adoperarono per onorare in modo singolare Tommaso d’Aquino. Nei Concili di Lione, di Vienna, di Firenze e del Vaticano si direbbe che Tommaso abbia assistito e quasi presieduto alle deliberazioni ed ai decreti dei Padri, combattendo con invincibile valore e con lietissimo successo contro gli errori dei Greci, degli eretici e dei razionalisti. Ma somma lode e tutta propria di Tommaso, concessa a nessun altro dottore cattolico, è che i Padri del Concilio Tridentino hanno voluto che nel mezzo dell’aula delle adunanze, insieme con i codici della Sacra Scrittura e con i decreti dei Romani Pontefici, stesse aperta, sull’altare, anche la Somma di Tommaso d’Aquino per derivarne consigli, ragioni e sentenze.

Infine parve riservata ad un uomo così incomparabile anche la palma di strappare di bocca agli stessi nemici del nome cattolico ossequi, elogi ed ammirazione. Infatti, è cosa nota che fra i capi delle fazioni eretiche non mancarono coloro che confessarono pubblicamente che, tolta una volta di mezzo la dottrina di Tommaso d’Aquino, "essi potrebbero facilmente affrontare tutti i dottori cattolici, vincerli, ed annientare la Chiesa". Vana speranza senza dubbio; ma non vana testimonianza.

Per questi fatti e per queste cause, Venerabili Fratelli, ogni volta in cui volgiamo lo sguardo alla bontà, alla forza ed ai preclari vantaggi del suo insegnamenti filosofico, che i nostri maggiori ebbero in particolare amore, giudichiamo essersi sconsigliatamente commesso che non sempre né ovunque fosse al medesimo conservato l’onore dovuto, tanto più che era ben noto come una lunga esperienza, il giudizio di uomini sommi e, quello che vale soprattutto, il suffragio della Chiesa, avevano favorito la filosofia scolastica. Allora, in luogo dell’antica dottrina subentrò qua e là una nuova scuola filosofica, dalla quale non si colsero quei frutti preziosi e salutari che la Chiesa e la stessa società civile avrebbero preferibilmente desiderato. Infatti agli sforzi nei Novatori del secolo XVI piacque filosofare senza il menomo riguardo alla fede, avendo chiesto ed essendosi data scambievolmente la facoltà di escogitare tutto ciò che piacesse e fosse gradito. Quindi, com’era ben naturale, le varie maniere di filosofare si moltiplicarono più del dovuto, e sorsero teorie diverse e fra sé contrastanti, anche intorno a quelle cose che sono fondamentali nelle cognizioni umane. Dalla molteplicità delle opinioni si passò assai spesso alle incertezze e ai dubbi: dal dubbio, poi, quanto sia facile all’uomo precipitare nell’errore, non v’è chi non lo veda. E poiché gli uomini si lasciano trascinare dall’esempio, anche le menti dei filosofi cattolici sembrarono invase dall’amore della novità: ond’è che, trascurato il patrimonio dell’antica sapienza, preferirono tentare cose nuove piuttosto che aumentare e perfezionare le antiche con le nuove, e questo certamente con poco saggio consiglio e non senza detrimento delle scienze. Infatti questa molteplice forma di dottrina, appoggiandosi sull’autorità e sull’arbitrio dei singoli maestri, ha un fondamento malfermo, e per tale motivo non costituisce una filosofia certa, stabile e robusta come l’antica, ma vacillante e leggera. La quale, se per caso le accada di sentirsi qualche volta poco idonea a sostenere l’impeto dei nemici, dovrà riconoscerne in se stessa la causa e la colpa. Dicendo ciò non disapproviamo certamente quei dotti e solerti uomini i quali volgono la loro operosità, la loro erudizione e la dovizia dei nuovi ritrovati allo studio della filosofia, giacché sappiamo bene che questo conduce all’incremento e al progresso della scienza. Ma conviene evitare con somma cura che in tale erudizione ed operosità s’impieghi tutto l’impegno, o la parte principale di esso. Non altrimenti si deve giudicare della sacra Teologia, la quale si giovi pure e s’illustri con l’aiuto di svariata erudizione, tuttavia è assolutamente necessario che essa sia trattata nel modo nobile usato dagli Scolastici, affinché, riunite in essa le forze della ragione e della rivelazione, continui ad essere "il propugnacolo invincibile della fede".

Con ottima decisione dunque non pochi cultori delle scienze filosofiche, avendo recentemente applicato l’animo a restaurare con profitto la filosofia, attesero ed attendono a far rivivere e ritornare nel primitivo splendore la dottrina di San Tommaso d’Aquino. Abbiamo saputo con grande letizia dell’animo Nostro, come molti dell’Ordine Vostro si siano con pari desiderio messi alacremente nella stessa via. E mentre altamente di ciò li lodiamo, li confortiamo altresì a rimanere fermi nella decisione intrapresa; vogliamo poi che tutti gli altri sappiano non esservi per Noi cosa più cara e più desiderabile di questa: che tutti offriate largamente e copiosamente alla gioventù l’acqua di quei rivi purissimi di sapienza, che con perenne abbondantissima vena scorrono dall’Angelico Dottore.

Molte poi sono le ragioni che Ci muovono a volere questo. Innanzi tutto in questi nostri tempi, essendo in uso combattere la fede cristiana con le arti e con le astuzie di una scienza fallace, è necessario che tutti i giovani, e particolarmente quelli che crescono sperando nella Chiesa, siano nutriti di una dottrina sostanziosa e robusta, affinché vigorosi e ben preparati si abituino tempestivamente a trattare valorosamente e sapientemente la causa della religione e siano "sempre pronti, secondo gli ammonimenti apostolici, a soddisfare chiunque domanda ragione di quella speranza che è in noi" (1Pt 3,15), e "ad esortare nella sana dottrina ed a convincere coloro che la contraddicono" (Tt 1,9). Inoltre, molti di quelli che, inimicatisi con la fede, hanno in odio gl’insegnamenti cattolici, dichiarano di avere a maestro e duce la sola ragione. A sanare costoro ed a riportarli in grazia con la fede cattolica, riteniamo che, dopo il soprannaturale aiuto di Dio, non vi sia mezzo più opportuno della solida dottrina dei Padri e degli Scolastici, i quali dimostrano i saldissimi fondamenti della fede, la sua divina origine, l’inconcussa verità, gli argomenti che la sorreggono, i benefici arrecati al genere umano e la sua perfetta armonia con la ragione, apportando tanta evidenza e tanta forza, quanta è sovrabbondantemente sufficiente a piegare gli animi anche più ritrosi ed ostinati.

Anche la società familiare e quella civile, le quali a causa di perverse ed esiziali dottrine si trovano esposte, come tutti vediamo, al più grave pericolo, se ne starebbero certamente più tranquille e più sicure se nelle Accademie e nelle scuole s’insegnasse una dottrina più sana e più conforme al magistero della Chiesa, quale appunto è contenuta nei volumi di Tommaso d’Aquino. Infatti, quello che Tommaso insegna circa la vera natura della libertà, che va oggidì tramutandosi in licenza, circa la divina origine di ogni autorità, circa le leggi e la loro forza, circa la paterna e giusta sovranità dei Principi, circa l’obbedienza dovuta ai più alti poteri, circa la mutua carità fra gli uomini, queste ed altre simili dottrine hanno una forza grandissima e invincibile per rovesciare quei principi del nuovo diritto, che si conoscono perniciosi alla tranquillità dell’ordine sociale ed alla pubblica salute.

Infine, tutte le umane discipline debbono concepire una speranza di avanzamento e ripromettersi moltissimi aiuti da questo rinnovamento della filosofia, che Noi Ci siamo proposti. Infatti le scienze e le arti liberali trassero sempre dalla filosofia, come da scienza moderatrice, la saggia norma e il corretto modo di procedere; dalla medesima, come dal fonte universale della vita, derivarono lo spirito che le alimenta. Dal fatto e dalla esperienza è continuamente provato che sommamente fiorirono le arti liberali quando si mantenne incolume l’onore, e fu saggio il giudizio della filosofia; per contro giacquero neglette e pressoché dimenticate quando la filosofia volse in basso, e fu confusa da errori e da inezie. Pertanto, anche le scienze fisiche che al presente sono in gran pregio, e che per tante e così splendide invenzioni suscitano ovunque singolare ammirazione di sé, non solo non patiranno alcun detrimento dalla recuperata filosofia degli antichi, ma ne saranno anzi molto avvalorate. Infatti, per studiarle con frutto e per accrescerle non bastano la sola osservazione dei fatti e la sola considerazione della natura, ma quando i fatti siano certi è necessario sollevarsi più alto e operare con solerzia per conoscere la natura della cose, per investigarne le leggi a cui obbediscono ed i principi dai quali nascono il loro ordine, l’unità nella varietà e la mutua affinità nella diversità. A tali ricerche la filosofia scolastica, se saggiamente insegnata, potrà fornire meravigliosamente forza e luce.

A questo proposito giova pure avvertire che con somma ingiustizia si accusa la medesima filosofia di essere contraria al progresso ed all’incremento delle scienze naturali. Infatti gli Scolastici, seguendo il pensiero dei Santi Padri, avendo spesso insegnato nell’Antropologia che l’intelletto umano giunge alla conoscenza delle cose incorporee e spirituali non altrimenti che dalle cose materiali, compresero di per sé che non esiste per il filosofo cosa più utile che investigare con diligenza i segreti della natura e impegnarsi lungamente nello studio di essa. Il che essi confermarono anche con il proprio esempio, in quanto San Tommaso, il Beato Alberto Magno e gli altri esponenti della Scolastica non si diedero soltanto alla speculazione della filosofia, ma si occuparono grandemente anche della conoscenza delle cose naturali. Anzi, non sono poche in questo settore le loro affermazioni e le loro sentenze che i maestri moderni approvano e sostengono essere conformi alla verità. Inoltre, in questa stessa nostra epoca, molti insigni professori delle scienze fisiche pubblicamente ed apertamente attestano che fra le conclusioni certe ed accettate della fisica moderna ed i principi filosofici della Scuola non si trova alcuna vera e reale contrapposizione.

Noi dunque, mentre dichiariamo che si deve accogliere con aperto e grato animo tutto ciò che sapientemente è stato detto e che è stato inventato ed escogitato utilmente da chicchessia, esortiamo Voi tutti, Venerabili Fratelli, a rimettere in uso la sacra dottrina di San Tommaso e a propagarla il più largamente possibile, a tutela e ad onore della fede cattolica, per il bene della società, e ad incremento di tutte le scienze. Diciamo la dottrina di San Tommaso. Infatti, se qualche cosa fu cercata dagli Scolastici con eccessiva semplicità o insegnata con poca ponderazione; se ve n’è qualche altra che non si accordi pienamente con gl’insegnamenti certi dei tempi più recenti, o infine se ve n’è qualcuna che in qualunque modo non merita di essere accettata, non intendiamo che sia proposta all’età presente, perché la segua.

Per il resto, i maestri scelti da Voi con saggio discernimento cerchino di far penetrare negli animi dei discepoli la dottrina di San Tommaso d’Aquino, e mettano in luce lo spessore e l’eccellenza di essa a preferenza di tutte le altre. Le Accademie da Voi fondate o che si fonderanno la illustrino e la difendano, e se ne valgano per confutare gli errori correnti. Affinché poi non si abbia ad attingere la dottrina supposta invece della genuina, né la corrotta invece della pura, fate in modo che la sapienza di San Tommaso sia prelevata dalle sue proprie fonti, o per lo meno da quei rivi che, usciti dallo stesso fonte, scorrono ancora puri e limpidissimi, secondo il sicuro e concorde giudizio dei dotti. Da quei ruscelli, poi, che pur si dicono sgorgati di là, ma di fatto crebbero da acque estranee e per niente salubri, procurate di tener lontani gli animi dei giovani.

Sappiamo però che i Nostri sforzi saranno vani, se le comuni iniziative, Venerabili Fratelli, non saranno favorite da Colui che "Dio delle scienze" è chiamato nelle divine Scritture (1Sam 2,3), dalle quali siamo pure ammoniti che ci vengono "dall’alto ogni buona donazione ed ogni dono perfetto, discendendo dal Padre dei lumi" (Gc 1,17). E di nuovo: "Se qualcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio, il quale dà a tutti liberamente e non rinfaccia; e gli sarà donata" (Gc 1,5). Dunque, anche in questo prendiamo ad esempio il Dottore Angelico che non si mise mai ad insegnare o a scrivere, se non dopo essersi propiziato Dio con le preghiere e che francamente confessò che aveva acquistato tutto ciò che sapeva non tanto attraverso il proprio studio e la propria fatica, quanto per favore divino. Pertanto, con umile e concorde preghiera supplichiamo tutti insieme Iddio, affinché effonda sui figli della Chiesa lo spirito della scienza e dell’intelletto ed apra loro la capacità di intendere la sapienza.

Al fine di ottenere più abbondanti i frutti della divina bontà, interponete presso Dio il patrocinio efficacissimo della Beata Vergine Maria, la quale è chiamata Sede della sapienza, e insieme usate ad intercessori il Beato Giuseppe, Sposo purissimo della Vergine, ed i sommi Apostoli Pietro e Paolo, i quali con la verità rinnovarono il mondo corrotto dall’impuro contagio degli errori e lo riempirono della luce della celeste sapienza.

Infine, confortati dalla speranza del divino soccorso, e confidando nella Vostra pastorale sollecitudine, a Voi, Venerabili Fratelli, a tutto il Clero ed al popolo affidato a ciascuno in particolare, quale auspicio dei celesti favori e come pegno della Nostra singolare benevolenza, impartiamo con tutto l’affetto nel Signore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 4 agosto 1879, anno secondo del Nostro Pontificato.





LEONE PP. XIII

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