Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

martedì 23 agosto 2016

“Credo la Chiesa Una Santa Cattolica ” di don Gabriele D’Avino

Trionfo della Chiesa su Fury, discordia e odio 1628
Il Trionfo della Chiesa Cattolica. 

La Chiesa cattolica, per istituzione divina, è una società visibile, conoscibile anche dalla ragione umana; il Catechismo di San Pio X ne dà la definizione seguente: «Società dei veri cristiani, cioè dei battezzati che professano la fede e la dottrina di Gesù Cristo, partecipano ai suoi sacramenti e ubbidiscono ai pastori stabiliti da lui».
Come è facile intuire, la Chiesa è una realtà composta di elementi soprannaturali (ad esempio il fine estrinseco, che è la vita eterna; i mezzi per giungervi, cioè la grazia santificante) e naturali (i membri, la gerarchia). Una realtà, dunque, accessibile tramite la fede ma anche, in parte, tramite la ragione e i sensi, sotto aspetti differenti. Scopo di quest’analisi non è dimostrare un mistero soprannaturale quale è la Chiesa, oggetto di uno degli articoli del Credo (dimostrazione che è per definizione impossibile), ma attestare la sua credibilità e quindi quella dei suoi insegnamenti attraverso dei segni visibili ed accessibili a tutti; credibilità che genera nel credente la certezza morale di quanto essa dice di sé: di essere appunto un’istituzione divina, l’unica capace di portare gli uomini alla salvezza eterna. Le note della Chiesa Una nota è una proprietà visibile, accessibile alla ragione, che rende conoscibile la realtà a cui è annessa, in modo che o la sua assenza ci mostri che non abbiamo a che fare con la realtà in questione (nota negativa), o la sua presenza ci attesti senz’altro che abbiamo a che fare con la realtà di cui ci occupiamo (nota positiva) .


 Nel caso della Chiesa cattolica le note negative sono semplicemente tutto ciò che le religioni in generale conservano di buono, la cui assenza, anche senz’altri motivi, dimostra che certamente non ci troviamo in presenza della vera Chiesa istituita da Gesù Cristo: una setta, ad esempio, che ammettesse l’adulterio o il divorzio, o che rifiutasse uno dei sette sacramenti, certamente non sarebbe la vera Chiesa di Cristo, prescindendo da ogni ulteriore indagine. Tali note, come si può facilmente vedere, possono moltiplicarsi all’infinito. Le note positive, invece, di cui ci occuperemo in quest’analisi apologetica, per la loro sola presenza dimostrano che la società di cui trattiamo è la vera Chiesa fondata da Gesù Cristo, ma per due differenti motivi: sia perché questa nota corrisponde perfettamente alla volontà di Nostro Signore, sia perché questa nota, conoscibile razionalmente, è tuttavia inspiegabile per motivi umani e costituisce un miracolo morale che solo Dio può concedere ad una realtà evidentemente da Lui voluta; questo miracolo morale sarà dunque la prova che la realtà in questione ha origine divina. Questi due motivi (corrispondenza all’istituzione di Cristo e miracolo morale) si riscontrano perfettamente in tutt’e quattro le note della Chiesa che il Simbolo di Nicea-Costantinopoli ci fornisce: l’unità, la santità, la cattolicità, l’apostolicità. Inoltre è bene insistere sulla nozione di «visibilità»: una nota della chiesa, per essere tale, deve essere più facilmente conoscibile della realtà che deve attestare e non dipendere da essa, facendo una petizione di principio. Ad esempio, una falsa concezione delle note presso i protestanti porta a dire che la vera Chiesa di Cristo è quella dove si predica ininterrottamente la verità e si amministrano legittimamente i sacramenti. Ora si vede bene come la “«legittimità» di un rito e la «veridicità» di una dottrina dipendono strettamente dall’autenticità dell’istituzione che accoglie tali riti e dottrine: autenticità che, appunto, si vuole dimostrare; donde poi la petizione di principio. Nella dottrina cattolica, invece, che segue semplicemente il buon senso, l’autenticità della Chiesa – quella romana – viene indirettamente dimostrata a partire da quei segni, le note appunto, che sono direttamente conoscibili da tutti e che non hanno bisogno a loro volta di dimostrazione. La nozione di unità Quando dico «uno», posso intendere molte cose diverse le une dalle altre. Se dico «Pietro è uno», intendo parlare della sua individualità finita e concreta, di una sostanza indivisa in se stessa e distinta dalle altre; in una lista della spesa troverò la menzione «tre pere, due arance, una mela» e allora quell’«una mela» farà riferimento ad un’unità numerica accidentale e non sostanziale come nel primo caso. L’unità accidentale non è solo quella secondo la quantità, ma anche secondo la relazione, ed in quel caso si parla di «unità d’ordine», cioè un insieme di più cose collegate fra loro. Quest’insieme può essere a sua volta casuale (un sacco di patate, un mucchio di pietre) oppure ordinato, e ciò dà luogo ad un’ulteriore distinzione: un ordine fisico (una casa composta da più mattoni ordinati fra loro) o un ordine morale (un insieme di uomini che formano una qualsiasi società). Quest’ultimo concetto di unità secondo la relazione di ordine morale è la proprietà che caratterizza una società, e che qui ci interessa. La società sarà dunque «una» nella misura in cui sarà presente un ordine tra i membri che la compongono, ordine finalizzato ad una attività comune. Va da sé che un ordine del genere non esclude affatto, ma anzi postula la molteplicità: l’unità riguarda il fine, l’ordine, l’attività; la molteplicità invece riguarda i membri della società. Le considerazioni che precedono, sono valevoli per una qualsiasi società naturale; l’ordine che costituisce la sua essenza, la «communio» (quasi communis unio) è organizzata in una qualsiasi forma di governo retta dall’autorità: tale autorità è il principio motore che guida l’azione comune dei membri della società. Ciò è sufficiente, poiché i princìpi della vita in una società naturale sono anch’essi naturali ed insiti nella mente umana; così come, data l’unità di azione, anche l’unità di intenti (volontà comune) è naturale all’uomo e non necessita di princìpi esterni. In una società soprannaturale quale la Chiesa, invece, per definizione le operazioni non sono «naturali» e quindi necessitano di princìpi esterni rivelati da Dio: l’autorità è istituita direttamente dal Cristo, fondatore della Chiesa, e affidata a San Pietro Apostolo, garante dell’unità di governo; per esercitare l’azione comune c’è bisogno di princìpi-guida che siano rivelati, e che siano inoltre ugualmente accettati da tutti: da qui la necessità di un’unità di fede per la professione di verità rivelate da Dio, la cui trasmissione è appunto garantita dall’autorità tramite un magistero sociale; infine, l’operazione comune si svolge tramite le azioni sacramentali i cui princìpi sono ovviamente anch’essi rivelati, e che garantiscono l’unità di culto. Si badi bene, l’esistenza di queste tre «unità» non è dedotta da una speculazione razionale; si tratta solo di rendere conto teologicamente dell’istituzione da parte del Cristo. Ora, precisamente la Rivelazione ci insegna come questo triplo legame (di fede, di culto, di governo) sia una proprietà dell’istituzione che Nostro Signore ha fondato. La Chiesa fondata da Gesù Cristo è Una Essendo la Rivelazione basata sulla Scrittura e sulla divina Tradizione, è in tali luoghi che si svolgerà principalmente la nostra ricerca; una volta stabilito il contenuto della Rivelazione sull’unità della Chiesa, cioè come Nostro Signore l’ha voluta, successivamente dimostreremo come effettivamente nella Chiesa romana – e solo in essa – si riscontri tale unità, la quale permetterà di affermare senza indugio che la Chiesa di Roma è la vera Chiesa fondata da Gesù Cristo. In primo luogo, le parabole del Vangelo designano la Chiesa come una realtà sociale «una»: si veda ad esempio quella del gregge di pecore la cui unità deriva dal governo di un solo pastore (Gv 10, 16); l’unità di fede ed il governo gerarchico di Pietro, degli Apostoli e dei loro successori è chiaramente stabilito in Mt 28, 18 ss.: «Andate, dunque, ammaestrate tutte le genti […]insegnando loro ad osservare tutto quanto v’ho comandato»; San Paolo invoca infine l’unità di fede e di culto nell’epistola agli Efesini: «Un corpo solo, un solo spirito, come in un’unica speranza siete stati chiamati; uno è il Signore, una la fede, uno il battesimo» (Ef 4, 4 s.). Il magistero dei successori di Pietro indica a sua volta quali siano le caratteristiche dei legami tra i membri della Chiesa. Il Papa Leone XIII nell’enciclica Satis cognitum afferma: «Colui che costituì la Chiesa unica la fece pure una, cioè tale che tutti quelli che ne fanno parte si mantenessero associati con strettissimi vincoli, in modo da formare un solo popolo, un solo regno, un solo corpo» ; più avanti il Pontefice spiega in dettaglio in cosa consistano questi vincoli: «Necessario fondamento di tanta e così assoluta concordia tra gli uomini è il consenso e l’unione delle menti […] perciò Gesù Cristo volle, secondo il suo piano divino, che vi fosse nella Chiesa l’unità della fede; questa virtù tiene il primo luogo tra i vincoli che ci legano con Dio, e da essa riceviamo il nome di fedeli» . Più oltre: «Ora la sola fede non basta a raggiungere così grande ed eccelsa méta (la salvezza eterna, n.d.r.) ma si richiede anche la pietà e la religione, che consiste specialmente nel Sacrifizio divino e nella partecipazione ai Sacramenti»  . Infine: «Solo agli Apostoli e ai loro legittimi successori Gesù comandò di pascere il suo gregge, ossia di governare tutta la cristianità, la quale è, per conseguenza, obbligata ad essere loro soggetta ed obbediente» . L’insegnamento di Pio XII fa eco al suo predecessore e riprende la metafora della Scrittura per descrivere i legami fra i fedeli: «Come nella natura delle cose il corpo non è costituito da una qualsiasi congerie di membra, ma dev’essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo compito ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa per questo specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una retta disposizione e coerente unione di membri fra loro diversi»  . Il magistero dei Papi non fa che riprendere i contenuti della Tradizione, cioè della predicazione ininterrotta dei predecessori e dei Padri della Chiesa dei primi secoli. Leggiamo infatti in Clemente Alessandrino, scrittore ecclesiastico del II secolo: «La Chiesa ebbe in sorte una sola natura, ed essendo una, gli eretici vogliono scinderla in molte. Affermiamo dunque che è unica l’antica e cattolica Chiesa nel suo essere e nella comune credenza, nel suo principio e per la sua eccellenza. Del resto anche l’eminenza della Chiesa, come principio di costruzione, risulta dalla sua unità, superando ogni altra cosa, e nulla avendo di simile a sé o di eguale» . San Cipriano, vescovo di Cartagine, della stessa epoca, nel suo opuscolo De unitate Ecclesiae afferma che Cristo conferì il primato a San Pietro, affinché la Chiesa apparisse «una» perché retta da un unico pastore . Aggiungiamo un argomento teologico che si basa su un dato di fede e un ragionamento fatto a partire da quest’ultimo: la Chiesa non può essere priva di quell’unità di cui il Cristo, con la sua orazione efficace, ha fatto esplicita richiesta al Padre; ora il Cristo, durante l’ultima Cena, ha pregato il Padre per l’unità non solo «mistica» ma anche «sociale» della sua Chiesa ; dunque quest’ultima possiede un’intrinseca unità. Tale conclusione si spiega con la necessità che la preghiera del Cristo sia esaudita infallibilmente, sia perché Nostro Signore è una Persona divina, sia perché la sua volontà umana corrisponde perfettamente alla volontà divina: in altre parole, qualunque cosa chieda Gesù al Padre certamente la ottiene, e i Vangeli ci dicono chiaramente che Gesù ha chiesto al Padre l’unità per la sua Chiesa. Per comprendere fino in fondo il ragionamento, è interessante notare lo scopo di questa unità richiesta da Nostro Signore: «Affinché il mondo creda che tu mi hai mandato» . Quest’ultima frase mostra come l’unità di cui si parla non è soltanto «spirituale» e quindi di carità, ma anche, indirettamente, visibile e quindi sociale: se non fosse un fatto visibile, il mondo non potrebbe credere che il Padre ha mandato il Figlio, o almeno non lo potrebbe attraverso questo vincolo di unità. La conclusione è dunque verificata: in virtù dell’efficace preghiera di Nostro Signore, la Chiesa è una, non solo nello spirito, ma anche nella sua struttura sociale . Il triplo legame in dettaglio Quanto all’unità di fede, deve intendersi specificamente nel fatto che tutti i membri della Chiesa professino una sola e medesima fede autenticamente proposta da un solo e medesimo magistero; condizione necessaria per la professione di fede, infatti, non è tanto l’unanime confessione dei fedeli (benché questo sia certamente un «segno» della veridicità di una proposizione) ma appunto il fatto che una proposizione provenga da un insegnamento fatto da chi, per istituzione divina, ne ha ricevuto l’autorità: si veda ancora Mt 28, 18, ma anche Lc 22, 32, dove Gesù conferisce a Pietro la specifica missione di essere custode della fede: «Ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli». L’unità di governo consiste nel fatto che tutti i fedeli obbediscano ad un’unica e medesima autorità suprema istituita da Cristo. Tale istituzione, promessa da Nostro Signore a Pietro in Mt 16, 18 («Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa»), viene definitivamente stabilita dopo la Resurrezione, allorché Gesù ordina al principe degli Apostoli di «pascere le sue pecorelle» . L’unità di comunione, infine, cioè di «azione comune», indica precisamente l’unione dei fedeli fra loro, nel fatto cioè che aderiscano gli uni agli altri nella partecipazione agli stessi sacramenti, allo stesso Sacrificio; il loro vincolo è quello che i teologi chiamano «carità sociale», unione cioè di intenti per l’ottenimento di un fine comune; da non confondere con la virtù teologale di carità, non strettamente necessaria al vincolo di cui trattiamo: un peccatore, infatti, pur privo della grazia e quindi della carità, resta membro della Chiesa; tale proposizione è di fede . Poiché l’unità di comunione principalmente si esercita ed è visibile nelle azioni sacramentali, per brevità la si può chiamare «unità di culto». Va aggiunto, secondo ciò che fa notare il Card. Billot, che l’unità di comunione e l’unità di governo dipendono dall’unità di fede, che riveste, nel quadro di questa proprietà della Chiesa, il ruolo principale. La nota di unità si riscontra nella Chiesa romana Si tratta qui di stabilire un dato di fatto: se, cioè, la Chiesa di cui ci occupiamo è veramente quella fondata da Nostro Signore e che presenta le caratteristiche sopra enunciate. Ora noi vediamo che l’unità di governo nella Chiesa romana, nel corso dei secoli, è costante e incontestata al suo interno (checché ne sia di coloro che volontariamente la abbandonano; vedi lo scisma ortodosso di cui ci occuperemo fra breve): il principio ed il centro di tale unità è la sede di Pietro, sede da cui dipendono tutti i capi delle chiese particolari (le diocesi) sparse nel mondo. Tale fatto è constatabile nella vita quotidiana della Chiesa, in cui noi vediamo i vescovi avvicendarsi nelle loro sedi attraverso l’investitura che viene dalla Santa Sede o almeno con l’approvazione di essa; è a questa sede che vediamo rivolgersi tutti i pastori per rendere conto della loro gestione; è infine a questa sede che essi ricorrono, vuoi per risolvere le difficoltà che incontrano, vuoi per ottenere la dispensa di una legge disciplinare, ed altro ancora . L’unità di comunione si riscontra nel fatto che, da venti secoli, le chiese che dipendono dalla sede di Pietro si comportano le une rispetto alle altre come le membra di un solo e medesimo corpo . Basti pensare, relativamente all’esercizio del culto, al carattere sorprendentemente universale della liturgia cattolica, specialmente della Santa Messa, che sacerdoti di tutte le razze, popoli e lingue celebrano sotto la medesima forma, e a cui fedeli di ogni condizione hanno, per secoli, devotamente assistito: le missioni presso i popoli asiatici, africani e del continente americano ne sono un esempio lampante. Né vale l’obiezione dei riti diversi dal rito romano, i quali infatti o ne sono delle varianti o, come in particolare i riti orientali, conservano la sostanza del Sacrificio propiziatorio di Nostro Signore espresso tramite un offertorio, un canone che contenga le parole della consacrazione, il rito di comunione come consumazione del sacrificio. L’unità di fede, infine, pure vi si trova: ne è prova la costante predicazione dei dogmi che, ininterrottamente da duemila anni, anima l’insegnamento della Chiesa docens a cui ammirevolmente fa da parallelo la docile professione della Chiesa discens. Per tutti, la regola visibile è il magistero dei vescovi sottomessi al Papa; nel corso della storia, coloro che se ne sono discostati sono appunto incorsi nelle condanne dell’autorità, condanne che nei casi estremi hanno escluso i colpevoli dalla comunione della Chiesa. La Sposa di Cristo, invece, incurante dei dissidi interni e delle minacce esterne che da sempre insidiano la sua stabilità, mai ha traballato nella sua fede, ma l’ha sempre professata in maniera integrale, ampliandone la comprensione senza tuttavia mutare un solo iota. L’assenza di unità nelle altre confessioni cristiane Da quanto abbiamo appena detto, risulta facile comprendere come gli altri gruppi «cristiani» che si reclamano come la vera chiesa di Cristo non lo sono in nessun modo, mancando loro questa nota d’unità. Per quel che concerne i gruppi protestanti, notiamo in primo luogo la loro assoluta frammentarietà e dispersione: le centinaia di sette che, a partire da Lutero, sono germogliate nel mondo intero hanno in comune fra loro la sola «protesta» contro la Chiesa di Roma, da cui l’eretico agostiniano appunto si distaccò; tra loro non c’è alcuna comunicazione né tantomeno comunione, nel senso di «azione comune» orientata verso un fine, checché ne sia di qualche somiglianza nei principi teologici dei loro culti, principi che sono comunque lasciati all’arbitrio di ogni singola setta. Di conseguenza, è impossibile trovare un’unità di governo, dato che ogni setta protestante sussiste da sé indipendentemente da un qualsivoglia governo centrale; stesso discorso per l’unità di fede, data la moltitudine di dottrine che già all’epoca della riforma proliferavano: si vedano le profonde differenze tra le dottrine di un Lutero, un Calvino, uno Zwingli. Del resto tale mancanza è voluta, poiché nel protestantesimo la regola della fede è se stessi (vedi libero esame delle Scritture), ed il rifiuto dell’autorità come veicolo della verità è il principio su cui storicamente si fondò la Riforma . È evidente, perciò, che nessuna setta protestante, non conservando quell’unità di cui il Cristo volle che fosse munita la società da lui istituita, sia la vera Chiesa di Gesù Cristo. Solo apparentemente il discorso delle chiese ortodosse è più complesso: l’apparente unità di fede è in realtà un fissismo, un attaccamento ad una «lettera morta»; non basta infatti richiamarsi alla dottrina dei sette primi concili ecumenici per vantare una dottrina salda e costante: la predicazione deve essere «vivente», quotidiana, nell’esercizio di un magistero attivo e coordinato da una autorità che gli dia forza e credibilità, e non solo un attaccamento a delle formule scritte . Ora, niente di tutto questo si riscontra nelle sette scismatiche d’Oriente; nessun avanzamento della teologia, nessuna «esplicitazione» dei dogmi, tale quella che da sempre è presente nella Chiesa romana, e che dimostra la sua perpetua vitalità, secondo la profezia di Isaia: «Sulle tue mura, o Gerusalemme, ho collocato i tuoi custodi, giorno e notte non taceranno mai» .Ancor meno è presente l’unità di comunione, data la rigida separazione delle chiese d’Oriente in chiese «nazionali» indipendenti le une dalle altre, incapaci di svolgere un’azione comune. Tale indipendenza, infine, esclude automaticamente l’unità di governo, poiché ogni patriarca ha «giurisdizione» sulla sua sola chiesa particolare. Dato che ognuna di esse rivendica la discendenza dalla vera chiesa di Cristo, e che tutte possiedono ugualmente le stesse carenze appena descritte; e che d’altra parte se una di esse fosse la vera chiesa tutte le altre dovrebbero esserlo allo stesso tempo, ne risulta che nessuna di esse lo è, e che tutte sono false chiese . Va da sé, per concludere, che la parvenza di unità sociale che tutte queste sette ortodosse e protestanti possiedono, la ricavano e la conservano grazie all’autorità civile; mai invece ciò avvenne per la Chiesa di Roma, la sola che nel corso della storia abbia posseduto (e, almeno fino ai Patti Lateranensi, esplicitamente reclamato) un potere temporale per garantire l’indipendenza del Papa. Conclusione La Chiesa romana, e solo essa, possiede quell’unità di cui il Cristo volle fosse munita quando disse «affinché tutti siano uno» (Gv 17, 20); tale tripla unità mantenuta e strenuamente difesa nei secoli (unità di fede, di governo, di comunione) costituisce inoltre un permanente miracolo morale, nel senso che solo un’azione soprannaturale può condurvi, e le sole forze umane non sarebbero capaci di produrre: la prova, dunque, che la Chiesa di Roma ha origine divina, fondata da Nostro Signore Gesù Cristo per la salvezza delle anime. Appendice: l’unità nella crisi? Tutti gli argomenti finora affrontati sembrano venir meno allorquando si pensi che oggi, a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, l’unità e l’armonia nella Chiesa sembrano del tutto assenti, data la varietà delle dottrine professate ed insegnate nelle università cattoliche, nei seminari, dai pulpiti, dalla stessa cattedra di Pietro. Il «miracolo morale» di cui parlavamo prima sembra sfumare di fronte alla catastrofe a cui cinquant’anni di postconcilio hanno ridotto la Sposa di Cristo. È chiaro che voler delucidare totalmente il mistero è impresa ardua, e l’odierna crisi rimarrà a lungo un punto oscuro, e ciò fino a quando la Provvidenza vorrà. Tuttavia è bene mostrare come in realtà le novità conciliari e il «nuovo corso» dato alla Chiesa dai modernisti non ne intacca l’unità, esattamente come una malattia non lo fa per un corpo a cui si attacca: le cellule malate, infatti, impediscono il corretto funzionamento dell’organismo, certo, ma quest’ultimo continua pur sempre a presentare le potenzialità di corretto funzionamento, e ciò ne assicura la sostanziale unità.Fuor di metafora, crediamo si possa applicare alla situazione attuale lo stesso concetto, dato che la cosiddetta «chiesa conciliare» non è in realtà un corpo a sé che romperebbe l’unità con la Chiesa di Cristo e ne costituirebbe un doppio, bensì una corrente, invasiva e predominante quanto si vuole, che ha preso il sopravvento nella maggior parte degli uomini di Chiesa (fino alle più alte cariche), analoga ad una malattia che infetta un corpo impedendone il corretto funzionamento ma senza intaccarne l’unità che gli è data dal principio unificante, che è l’anima . Ora, nella santa Chiesa, come abbiamo visto, il principio unificante è appunto questo triplo legame che resta nella sua sostanza inalterato, ma la cui manifestazione perfetta e completa è attualmente impedita. Il legame di fede resta nella misura in cui la professione esterna del Credo riguarda non soltanto i membri della Chiesa attualmente viventi, ma anche la continuità con la professione plurisecolare della stessa ed identica fede da parte dei credenti di tutti i tempi. Ora, fin quando ci si dichiarerà membri della Chiesa cattolica, unificata da duemila anni da una stessa fede, implicitamente ci si considererà «uno» con chiunque abbia sempre professato le stesse verità, nonostante allo stato attuale tale professione sia ambigua, talvolta distorta, spesso del tutto errata. Un tale atteggiamento, se volontario, potrà essere colpevole nel singolo soggetto ma non arriverà ad intaccare l’unità di tutto un corpo, unità che è peraltro assicurata da catechismi, simboli della fede, documenti magisteriali redatti nel corso dei secoli e che fino al Papa Pio XII sono in perfetta continuità con la Tradizione. Il legame di governo pone meno problemi quanto alla visibilità, poiché (nonostante la deriva collegialista del Concilio) il Sommo Pontefice continua ad essere, nel bene e nel male, il detentore del potere di giurisdizione e di conseguenza principio motore della società soprannaturale, sebbene il suo potere sia la maggior parte del tempo usato male. Il legame di culto è invece quanto mai difficile a trovarsi, data la varietà ormai dilagante delle differenti forme di celebrazione e le quasi infinite possibilità date ai celebranti di «comporre» i propri riti; un problema che però non si pone neanche, a ben rifletterci, dato che il Novus ordo Missae non si iscrive affatto nella tradizione liturgica della Chiesa e non è da considerarsi nemmeno un rito cattolico. L’unità temporale manca del tutto, essendo un rito assolutamente nuovo fatto a tavolino. Pertanto, non si può che concludere che l’unità dell’azione comune del culto nella Chiesa è data da chi continua, tra persecuzioni, rifiuti e stigmatizzazioni, la celebrazione del rito tradizionale, rito plurisecolare che ha unificato la Chiesa in ogni continente e che collega direttamente agli Apostoli e quindi a Nostro Signore. Crisi o non crisi, in conclusione, la Chiesa è una, fondata come tale e «una» resterà fino alla fine del mondo. Non è «in cerca d’unità», né attende di riceverla. Unus Dominus, una fides, unum baptisma. Al di fuori di questa unità nessun credente può sperare la salvezza eterna.

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