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sabato 25 marzo 2017

Marcel Lefebvre: una vita al servizio della Verità e della Chiesa

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L’eroica perseveranza contro tutto e tutti in difesa di Nostro Signore Gesù Cristo non si improvvisa, come non si improvvisa la lucidità di vedere dove stia la Verità, contro la quasi totalitaria opinione comune: sono frutto di formazione e di preghiera.
Sono trascorsi ventisei anni dalla scomparsa di Monsignor Marcel Lefebvre (25 marzo 1991), quattro lustri dal suo dies natalis. Ma la sua memoria non si è affievolita, anzi, più trascorre il tempo e più le sue idee sono attuali, come attuale è la Chiesa della Tradizione, essendo la Sposa di Cristo sempre giovane e sempre bella, nella sua immacolata eternità. Immacolata eternità che il Vescovo francese difese con uno zelo, un coraggio ed un ardore da far impallidire persino i Sommi Pontefici... Paolo VI, dotato di intelligenza e di sensibilità, impallidì veramente. È sufficiente leggere le drammatiche pagine lasciate dal filosofo Jean Guitton, in Paul VI secret (1979), per accorgersi che Monsignor Lefebvre ha rappresentato non soltanto un “problema”, ma un vero e proprio caso di coscienza per la Chiesa. Marcel François Marie Joseph nasce a tarda sera di mercoledì 29 novembre 1905 a Tourcoing, comune situato nel dipartimento del Nord, nella punta orientale del Nord del Passo di Calais, al confine con il Belgio. Un paese piccolo, ma brulicante di gente laboriosa, attenta più ai doveri che ai diritti e ricchissima di Fede. Dai genitori, René Lefebvre (1879-1944) e Gabrielle Watine (1880-1938), morta in concetto di santità, riceve un’educazione tutta cattolica: Santa Messa quotidiana, preghiere e Santo Rosario scandiscono il tempo fatto di lavoro e di sacrifici.

Imprenditore tessile, René, durante la seconda guerra mondiale, serve la patria aderendo alla Società di Soccorso dei Feriti militari di Tourcoing e prendendo parte attiva alla resistenza. Ma tutto il suo industriarsi non passa inosservato alla Gestapo, che lo arresta il 21 aprile 1941. È condannato a morte a Berlino il 28 maggio 1942 e internato nel campo di concentramento KZ di Sonnerburg (Brandeburgo). Fame, freddo, umidità e il pestaggio a sangue di un guardiano gli procurarono un’emiplegia con sincope. Muore il 4 marzo 1944 e la sua salma non viene mai più ritrovata. Per Marcel, che ha sette fratelli (alcuni dei quali sceglieranno di consacrarsi anche loro a Cristo), non ci sono dubbi: la sua strada è quella del sacerdozio. Il 25 ottobre 1923 entra nel Seminario francese di Santa Chiara di Roma, sotto la direzione di padre Henri Le Floch C.S.Sp. (1862-1950), il quale lascerà un’impronta indelebile nella sua formazione, basata sulla Tradizione della Chiesa e sulla teologia di san Tommaso d’Aquino (1225-1274). A Roma si prepara per mettere in atto ciò sta scritto nel De imitazione Christi: «Se tu avessi la purità degli angeli e la santità di san Giovanni Battista, non saresti pur degno di ricevere, né di toccare questo Sacramento. Poiché non è dovuto ai meriti umani, che un uomo consacri e maneggi il mio Sacramento e prenda in cibo il pane degli angeli. Gran mistero, e gran dignità dei sacramenti, ai quali è dato un potere che non vien concesso agli angeli! Perché i soli sacerdoti, legittimamente ordinati nella Chiesa, hanno potestà di celebrare e di consacrare il mio Corpo. Il sacerdote è per verità il ministro di Dio, e si serve della parola di Dio per comando ed istituzione di Dio stesso. […]. Eccoti fatto sacerdote e consacrato per celebrare: studiati ora di offrire a Dio questo sacrificio nei tempi convenevoli con fede e devozione, e di darti a conoscere irreprensibile. Non hai già alleggerito il tuo peso; anzi ti sei legato con vincolo di più stretta disciplina ed obbligato a più alto grado di santità». I maestri e gli ispiratori di Monsignor Lefebvre sono diversi: padre Le Floch, san Tommaso d’Aquino, dom Columba Marmion O.S.B. (1858-1923), dom Gustave Chautard O.C.S.O. (1858-1935), san Giovanni Crisostomo (344/354-407), sant’Agostino (354-430), san Bernardo da Chiaravalle (1090-1153), san Bonaventura da Bagnoregio (1217/1221 ca.-1274), san- t’Ignazio di Loyola (1491-1556), san Pio X (1835-1914), Père Emmanuel André (1826-1903), autore del Traité du Ministère Ecclésiastique, don Ludovic-Marie-Joseph- Barthelémy Barrielle (1897-1983), direttore spirituale del Seminario di Ecône per diversi anni. Uomo di Fede, ma anche di ardente e appassionata Carità, Lefebvre, pur lottando per il ripristino nella Chiesa di dogmi e princìpi, non si lascia mai trasportare né dall’ira, né dal rancore, neppure quando le mura di San Pietro tremano, allorquando le idee moderniste penetrano nel pastorale Concilio Vaticano II, per essere, più che discusse, imposte. Veri e propri atti di prepotenza sono commessi all’interno dell’Assise convocata da Giovanni XXIII (1881- 1963), atti riportati e documentati nel volume di Roberto de Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta che ha ottenuto il Premio Acqui Storia 2011 come miglior studio storiografico. La Carità del Vescovo “ribelle” si manifesta anche quando viene sospeso a divinis (1976) e quando è scomunicato per aver consacrato quattro Vescovi senza l’as- senso pontificio (1988). Accoglie tutto con Fede ed abbandono in Dio. Ci sono tempi in cui viene lasciato completamente solo a combattere, accompagnato, però, dalla Grazia, che gli permette di mantenere la quiete e la serenità, nonostante gli attacchi e le punizioni, come il “declassamento” da Arcivescovo di Dakar a Vescovo della piccola diocesi di Tulle, per impedirgli la partecipazione alla Conferenza episcopale francese. «Vescovo di Francia… ah, là, là!... Quanto conoscevo l’opinione dei Vescovi di Francia su di me!... Essi mi temevano, in una certa maniera, perché ero il Vescovo sedicente tradizionalista, integrista, già allora» . Le voci circolano: Lefebvre ha una “cattiva” fama, non tra la gente, non tra i seminaristi, sacerdoti, religiosi e religiose, che lo hanno conosciuto, ma fra i Vescovi francesi, che lo temono e lo detestano: la sua serietà, la sua correttezza, il suo rigore dottrinale li spaventano… sono uno specchio troppo rigoroso di fronte al loro dialogare, ovvero compromettersi, con il mondo. Pour qu’Il Règne (1959) di Jean Ousset (1914-1994), l’opera culturale e filosofica della storia più significativa prodotta nel secolo scorso dalla scuola contro-rivoluzionaria francese, piace così tanto a Monsignor Lefebvre che, su richiesta de La Cité catholique, ne scrive la prefazione, pertanto non «ero molto bene accolto. La prova migliore è che Giovanni XXIII volle assolutamente che prendessi una diocesi in Francia» e la diocesi in Francia significa avere un controllo massiccio e compatto su di sé. Si teme molto Monsignor Marcel Lefebvre, ma più gli altri hanno paura di lui, più il Signore lo Saint-Michel il 7, 8 e 12 febbraio 1990, Supplemento a «Tradizione Cattolica», Anno XIX, n. 3 (68) – 2008, p. 80. 3 Ibidem, p. 81. rende coraggioso. Dirà il protagonista involontario di una battaglia che non avrebbe mai voluto capeggiare, ma la cui responsabilità gli viene consegnata dallo Spirito: «Una piccola diocesi, va molto bene. Si dice che questa frase è di san Francesco di Sales: “Una sola anima è una grande diocesi”» . Allora il Vescovo si dice che avere duecento ventimila anime, quanti erano gli abitanti della diocesi di Tulle a cui era stato destinato, sarebbe una grandissima diocesi… Alcuni prelati di Roma dicono a Monsignor Lefebvre che dovrebbe protestare. Ma al Vescovo non interessano le promozioni e le appro- vazioni degli uomini, per lui è sempre contato esclusivamente il giudizio divino: «Noi non siamo degni di avere l’incarico di una sola anima» . È Vescovo per soli sei mesi, ma riesce a compiere ugualmente un rinno- vamento di cuori e di Fede, facendo sentire tutta la sua vicinanza ai suoi protetti, i sacerdoti, che sono sempre il centro del suo cuore, la pupilla dei suoi occhi. In Africa Monsignor Lefebvre trascorre gli anni più felici (dal 1932 al 1960), pur nelle difficoltà delle gravi incombenze. Apre seminari, scuole, conventi… la vita contemplativa si sposa a quella attiva in un produttivo connubio che favorisce conversioni, battesimi, catechesi, acculturazione, lavoro e anche benessere materiale, visto che da sempre il Cristianesimo è portatore di civiltà. Il prodigioso sviluppo culturale, sociale ed economico dell’Africa francofona degli anni Cinquanta lo si deve, in gran parte, a Monsignor Lefebvre, come ricordano ancora oggi le targhe commemorative, la toponomastica dei luoghi, gli annali, l’emissione dei francobolli a lui dedicati. Tre sono le sue vocazioni: sacerdote (viene ordinato a Lille il 21 settembre 1929); missionario (fa la professione religiosa nel noviziato dei Padri dello Spirito Santo di Orly il 1° settembre 1931); maestro di sacerdoti, anzi, di santi sacerdoti.Nei Seminari gli insegnanti non propongono più i punti fermi della Scolastica e la vita vocazionale subisce rilassatezze e distorsioni. La talare viene gettata alle ortiche come qualcosa di vetusto, da dimenticare con ribrezzo: il prete, ormai, si deve “emancipare” e confondere con gli uomini qualunque, in uno slancio ottimistico di democraticità ed egualitarismo. Monsignor Lefebvre comprende che il mutare la Santa Messa significa, anche liturgicamente, staccarsi dal passato, staccarsi dalla Tradizione, togliere Dio dal centro e posizionare l’uomo al Suo posto. L’antropocentrismo trionfa anche nel rito più Sacro: il Santo Sacrificio. Protagonista non è più il Calvario, bensì l’assemblea con al centro il prete rivolto verso i fedeli e non più verso Dio. Non si tratta soltanto di stravolgere i simboli della Fede, ma è una problematica che riguardava la sostanza, la dottrina. Anche il catechismo non è più quello chiaro e preciso di san Pio X, bensì qual- cosa di vago e di ideologico, coniugato con i cosiddetti «segni dei tempi». Conservare la Santa Messa, secondo i canoni di sempre, significa, per Monsignor Lefebvre – ed oggi bene lo si vede negli ostruzionismi che si perpetuano in spregio al Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI (2007) – salvaguardare il testamento di Nostro Signore e, quindi, preservare i ministri di tale sacramento dalla corruzione e dalla spogliazione della loro stessa identità. Chiarissima l’urgenza che incalza la sua azione. Lui stesso confesserà un segno che ebbe dal Cielo, cioè un sogno che gli si palesò nella cattedrale di Dakar: «[…] lo Spirito Santo mi permette di realizzare il sogno che mi ha fatto intravedere un giorno nella Cattedrale di Dakar: di fronte alla progressiva degradazione dell’ideale sacerdotale, trasmettere, in tutta la sua purezza dottrinale, in tutta la sua carità missionaria, il sacerdozio cattolico di Nostro Signore Gesù Cristo, quale Egli l’ha trasmesso ai suoi apostoli e quale la Chiesa romana lo ha trasmesso fino alla metà del XX secolo. Come realizzare ciò che allora mi appariva come l’unica soluzione per il rinnovamento della Chiesa e della Cristianità? Era ancora un sogno, ma in esso mi si presentava già la necessità di trasmettere non solo il sacerdozio autentico, non solo la “sana dottrina” approvata dalla Chiesa, ma anche lo spirito profondo ed immutabile del sacerdozio cattolico e dello spirito cristiano legato essenzialmente alla grande preghiera di Nostro Signore che il suo sacrificio della Croce esprime eternamente. La verità del sacerdozio dipende totalmente da questa preghiera; perciò io sono stato sempre incalzato dal desiderio di mostrare le vie della vera santificazione del sacerdote secondo i principi fondamentali della dottrina cattolica sulla santificazione cristiana e sacerdotale». Considera conservare la Santa Messa e il Santo sacerdozio una vera e propria battaglia di carattere soprannaturale, una battaglia di giganti, non una diatriba dialettica, una giostra intellettuale, ma una vera e propria guerra tra le forze angeliche e le forze demoniache. Fonda nella festa di Ognissanti del 1970, su insistenza di alcuni giovani seminaristi che desiderano continuare ad avere una formazione integralmente cattolica, la Fraternità Sacerdotale San Pio X, approvata dal Vescovo di Friburgo (Svizzera), Monsignor François Charrière (1893- 1976); in dicembre, con approvazione episcopale, apre il Seminario di Écône. L’impavido condottiero, benché settantenne, continua a viaggiare, sembra avere la tempra di un ragazzo. «Niente lo ferma, perché la carità lo sprona. “Caritas Christi urget nos”. È il sacerdote, il Vescovo dell’impellenza, della premura a gridare le Verità di Fede ad un mondo che amplifica le voci dei falsi profeti» . Apre priorati e case in Stati Uniti (1973), Francia (1974), Italia (1974), Germania (1976), Svizzera (1977), Canada (1977), Argentina (1977), Spagna ( 1978), Austria (1981), Australia (1982), Irlanda (1983), Paesi Bassi (1984), Messico (1984), Africa australe (1984), Portogallo (1984), Gabon (1986), India (1986). Siccardi, Mons. Marcel Lefebvre. Nel nome della Verità, Sugarco, Milano 2010, p. 264. Lefebvre non demorde, Lefebvre non tace, benché la Chiesa sembri non più ascoltarlo. Il 27 agosto 1986 scrive a otto Cardinali per allertare sul primo grande raduno interreligioso di Assisi, affermando che lo scandalo è incalcolabile nelle anime dei cattolici e la «Chiesa ne è scossa nelle fondamenta». Marcel Lefebvre nel XX secolo rappresenta la resistenza, l’opposizione, è l’armigero della Tradizione che l’opinione pubblica, i mass media e la “Chiesa alla moda”, quella che cavalca i “malumori” e le rivendicazioni di stampo sessantottino, che si lascia influenzare da giornali e Tv, considerano ormai un arnese obsoleto, roba per “matusa”. Tutta la storia dell’umanità compresa la storia della Chiesa, è pervasa dalla ribellione alla volontà di Dio: è la lotta fra la giustizia e l’empietà. Il peccato è il grande nemico dell’uomo, ma, sostiene Lefebvre «non va dimenticata la costante misericordia di Dio che punisce e perdona... I pericoli, per l’anima, sono molteplici e la storia li insegna: incredulità totale o parziale; eresia; apostasia; infedeltà giudaica e dei pagani. Fra le eresie quella luterana, oggi, pur essendo tramontata, ha lasciato attorno a sé ateismo e devastazione spirituale. Unico rimedio al peccato originale, ai peccati di ciascun uomo venuto nella storia, è Cristo Crocifisso. Il peccato colpisce tutti gli uomini “ita in omnes homines mors pertransiit“». «Noi sappiamo che il nostro corpo dovrà perire», afferma Monsignor Lefebvre, «e sarà la stessa cosa per la nostra anima? No!». «Il sacramento del battesimo è un lavacro che permette di entrare nella figliolanza di Dio e la Croce di Cristo è l’unico mezzo per il quale è possibile essere salvi. Ma occorre ricordare che il criterio della verità non è esteriore, ma interiore e non è soggettivo individualistico (come per i protestanti), bensì oggettivo. Non c’è nulla di arbitrario e di relativistico nella religione cattolica, ma tutto è spiegato secondo un’unica legge di verità, quella portata dal Figlio di Dio, morto sulla Croce e risorto. Non c’è nulla di fantastico e di arbitrario, ma solo certezze di Fede. “Egoismo e amore di sé sono veramente la causa del peccato in noi”. La caratteristica, in definitiva del peccato, di questa terribile malattia, è l’esaltazione della creatura in rapporto a Dio, ergendosi a dio “Eritis sicut dii”. All’asserzione satanica “Non serviam” si oppone quella di San Michele: “Quis ut Deus”». Indifferentismo, Naturalismo, Liberalismo, Modernismo, Socialismo e Comunismo sono i veleni che intossicano la civiltà cristiana. La Chiesa, afferma Monsignor Lefebvre, deve continuare a chiamare errori gli errori e dare gli antidoti per stare lontani dai nemici che ammorbano il mondo. 13 Ibidem, p. 4. 14 Ibidem, p. 5. 15 Ibidem, p. 5. 16 Ibidem, p. 5 e cfr. C. Siccardi, Maestro in Sacer- dozio. La spiritualità di Monsignor Marcel Lefebvre, Sugarco, Milano 2011, p. 55. Consapevolezza, allora dell’«abisso della nostra ignoranza davanti alle nozioni di Dio, della via-carità, eternità, verità, spirito, della morte egoismo, del tempo, dell’errore, della materia»; ma l’intelligenza è creata per la verità, mentre la volontà è creata per il bene. «Il bene è la Verità messa in azione, vale a dire la Carità: Dio è Verità e Carità, è una sola e stessa cosa» ed è «metafisicamente impossibile» che Dio comandi cose contrarie alla Verità. «La più grande testimonianza della Carità della Santa Trinità, il più grande amore di Dio continua con il sacerdote nel sacrificio della Messa». Gli effetti dell’apostasia sono sotto gli occhi di tutti e provocano la perdita delle vocazioni, lo svilimento della religiosità, la corruzione, gli scandali inverecondi. Ebbene, Marcel Lefebvre nel XXI secolo non rappresenta più la lotta al Modernismo, che ormai ha invaso menti e cuori, bensì la speranza della Chiesa. La “Chiesa alla moda”, che ha lasciato danni e rovine, nel suo aggressivo tragitto – un modo di agire che sta all’opposto dell’umiltà, semplicità, tolleranza dell’autentica cattolicità – non ha più nulla di nuovo da dire: parla lo stesso linguaggio dei sociologi e dei politici. Lavoro, sindacati, droga, divorzi, multietnicità, pluralismo… non più cura delle anime, peccato veniale, peccato mortale, indulgenze, rogazioni, salvezza eterna, inferno, purgatorio… Monsignor Lefebvre, con i suoi insegnamenti, i suoi esempi, i Figli che ha lasciato, ma anche con il suo sorriso e la sua fiera mitezza, è qui, fra noi, a ricordarci che la Tradizione è l’unico rimedio ai mali che hanno fiaccato e ferito l’im- magine della Sposa di Cristo.
di Cristina SiccardiLa fonte laTradizione Cattolica

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